REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7217 del 2020, proposto da
Consiglio Superiore della Magistratura e Ministero della giustizia, rispettivamente in persona del legale rappresentante e del Ministro pro tempore, entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, 12;
contro

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Gianluigi Pellegrino, con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, al corso del Rinascimento, 11;
nei confronti

-OMISSIS- non costituiti in giudizio;
per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio - Roma, sez. I, n. -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Gabriele Positano;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 novembre 2020, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 4, comma 1, ultimo periodo, d.-l. n. 28 del 2020 e dell'art. 25 d.-l. n. 137 del 2020, il Cons. Giovanni Grasso;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Svolgimento del processo

1.- Con ricorso al Tribunale amministrativo per il Lazio, il magistrato -OMISSIS- impugnava la delibera, datata 4 dicembre 2019, del Consiglio Superiore della Magistratura che aveva approvato la nomina, per quanto di spettanza, di sei componenti “togati” per la formazione del Consiglio direttivo dell’ente Scuola Superiore della Magistratura, che non lo aveva tra i prescelti.

2.- A sostegno, egli premetteva: a) di essere magistrato ordinario a decorrere dal 1993 e Consigliere della Corte di Cassazione dal 2013; b) di vantare una “ampia e rilevantissima esperienza in materia di formazione del personale di magistratura” in quanto, tra l’altro, “già componente del Comitato Scientifico presso il CSM”, e “coordinatore e organizzatore di una “rilevantissima attività di formazione centrale”, c) di aver svolto le funzioni di “formatore decentrato” per due mandati.

Egli denunziava, con plurimo mezzo:

a) “falsità dei presupposti”, sotto il profilo della erronea ricostruzione del proprio curriculum professionale: in particolare, nella delibera era indicato:

– come referente per la formazione a Lecce nel biennio 2005/2007, laddove il suo incarico nel settore civile era, in realtà, durato quattro anni, riferendosi a due mandati biennali;

– come relatore in quattro corsi presso la Scuola Superiore e il CSM, laddove si trattava, in effetti, di quattordici corsi;

– come relatore per la formazione decentrata in due occasioni, trattandosi per contro di ben quindici relazioni;

– come partecipante a trentatré convegni, che erano, in realtà, quaranta;

b) “contraddittorietà manifesta”, “perplessità” e “difetto manifesto di motivazione”, avendo la delibera preferito altri magistrati a dispetto delle loro esperienze asseritamente minori e nella denunziata assenza di specifici elementi preferenziali, in alcun modo valorizzati; in particolare:

– nessuno dei magistrati che gli erano stati preferiti poteva vantare un bagaglio esperienziale comparabile al proprio, essendo egli stato formatore per ben due mandati e componente del Comitato scientifico presso il CSM;

– a lui era imputabile (e non ai colleghi prescelti) il progetto culturale e organizzativo della Scuola Superiore, preordinato alla individuazione dei principi e delle linee di sviluppo per la progettazione e lo svolgimento della formazione nazionale dei magistrati;

– era stato valorizzato, relativamente alla controinteressata-OMISSIS-, lo svolgimento dei tirocini formativi ex art. 73, d.-l. n. 69 del 2013 e dei tirocini previsti all’interno della Convenzione con la SSPL dell’Università di Genova, ma non si era tenuto conto dell'attività di livello nazionale svolta da esso ricorrente, quale componente del Comitato Scientifico del CSM, per i corsi di formazione iniziale dei magistrati assunti;

– era stato premiato, sempre a favore della-OMISSIS-, il ruolo di coordinatore del corso “Formazione dei formatori”, ma non la propria attività di organizzazione e coordinamento, nella qualità di componente del Comitato Scientifico, del “Corso Carlo Verardi per la formazione dei formatori”;

c) “eccesso di potere per perplessità, contraddittorietà e irrazionalità manifeste”, in quanto la delibera non sarebbe stata assunta a seguito di una reale valutazione comparativa, ma con una motivazione apparente e puramente assertiva; in particolare:

– con riguardo alla formazione internazionale, il provvedimento impugnato aveva apoditticamente ritenuto che “i dott.ri -OMISSIS- [avessero] una qualificata esperienza in ambito internazionale”, laddove la-OMISSIS- aveva solo tenuto seminari sulle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo come fonte del diritto, con relazioni pubblicate sulle riviste nazionali, e, per l’altra controinteressata, -OMISSIS-, sarebbe stata operata una arbitraria confusione tra la vera e propria “formazione comunitaria e internazionale” e la mera conoscenza della lingua inglese, con partecipazione ai corsi di apprendimento della lingua straniera, aspetti da considerarsi, in tesi, molto marginali della formazione;

– era stata, altresì, valorizzata l’esperienza informatica, che però era elemento asseritamente del tutto irrilevante, fermo restando che vi era stata sopravvalutazione anche di tale aspetto per uno dei prescelti, mentre per altri due non era stato indicato alcun elemento in proposito;

– sull’attività giurisdizionale espletata, di merito/legittimità, l’atto gravato si limitava ad una esposizione meramente descrittiva, senza alcun apprezzamento motivazionale, pur essendosi formalmente dato atto della centralità di tale criterio;

– anche l’attualità nelle funzioni giurisdizionali, pure richiesta, non era stata valutata, in quanto era stato designato il -OMISSIS-, rientrato da pochi mesi da un protratto “fuori ruolo”, senza considerare l’impedimento giuridico alla ulteriore protrazione dello stesso oltre il decennio ammesso;

d) “eccesso di potere e violazione di legge sotto ulteriore profilo”, non essendo stati previamente enucleati con ponderazione, dai criteri indicati dal bando, elementi motivazionali maggiormente specifici, tali da consentire una legittima valutazione comparativa.

4.- Integrate – con memoria a valersi come motivi aggiunti – le ragioni di doglianza, nella resistenza del Consiglio Superiore della Magistratura e del Ministero della giustizia, con sentenza n. -OMISSIS-, in epigrafe, il Tribunale amministrativo, pur dichiarando inammissibili i motivi aggiunti, accoglieva il ricorso.

5.- Con atto di appello, proposto nei tempi e nelle forme di rito, il Consiglio Superiore ed il Ministero della giustizia impugnano congiuntamente la detta statuizione, di cui assumono la complessiva erroneità ed ingiustizia, auspicandone l’integrale riforma.

Si è costituito in giudizio, in resistenza, il -OMISSIS-.

Alla pubblica udienza dell’11 novembre 2020, la causa è stata riservata in decisione.

Motivazione

1.- L’appello non è fondato e va respinto.

2.- Va anzitutto premesso che l’art. 6 (dedicato alla nomina del Comitato direttivo) d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26 (Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera b), della L. 25 luglio 2005, n. 150) stabilisce:

«1. Fanno parte del comitato direttivo dodici componenti di cui sette scelti fra magistrati, anche in quiescenza, che abbiano conseguito almeno la terza valutazione di professionalità, tre fra professori universitari, anche in quiescenza, e due fra avvocati che abbiano esercitato la professione per almeno dieci anni. Le nomine sono effettuate dal Consiglio superiore della magistratura, in ragione di sei magistrati e di un professore universitario, e dal Ministro della giustizia, in ragione di un magistrato, di due professori universitari e di due avvocati.

2. I magistrati ancora in servizio nominati nel comitato direttivo sono collocati fuori del ruolo organico della magistratura per tutta la durata dell'incarico ovvero, a loro richiesta, possono usufruire di un esonero parziale dall'attività giurisdizionale nella misura determinata dal Consiglio superiore della magistratura.

3. I componenti del comitato direttivo sono nominati per un periodo di quattro anni; essi non possono essere immediatamente rinnovati e non possono fare parte delle commissioni di concorso per magistrato ordinario.

4. I componenti cessano dalla carica per dimissioni o per il venire meno dei requisiti previsti per la nomina».

Ciò rilevato, va qui considerato che, con il primo motivo di doglianza, le appellanti amministrazioni lamentano che la sentenza abbia omesso di dichiarare il difetto di legittimazione passiva del Ministero della giustizia, la cui estraneità alla lite discenderebbe dal rilievo che, ai sensi dell’art. 6, comma 1, del d. lgs. 30 gennaio 2006, n. 26 (Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati) la nomina dei componenti del Comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura sarebbe imputabile, per quanto di propria e riservata spettanza, alla scelta autonoma del CSM, sì concorrente con quella spettante al Ministero, ma da quella formalmente distinta (non essendo, in effetti, prevista alcuna “formalizzazione” della scelta del Ministero).

2.1.- Sul punto, va anzitutto osservato che non si tratta, in realtà, di omessa pronunzia, dato che – come le stesse appellanti riconoscono – non era stata, sul punto, formulata alcuna eccezione, in primo grado, che valesse ad attivare il dovere di decidere del giudice.

Il motivo – che va, di conseguenza, acquisito in termini di mera eccezione, formulata, per la prima volta, in grado di appello – va disatteso.

2.2.- Vale rammentare che, nel processo amministrativo impugnatorio (cfr. art. 29 Cod. proc. amm.) la legitimatio ad causam spetta, in via esclusiva, “alla pubblica amministrazione che ha emesso l’atto impugnato”, alla quale, perciò, il ricorso introduttivo (con cui è “proposta l’azione di annullamento”) deve essere notificato, a pena di inammissibilità, ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio processuale (art. 41, comma e 35, comma 1 lettera b) Cod. proc. amm.).

Ne discende che, trattandosi di una condizione dell’azione, il cui difetto concreta “ragione ostativa ad una pronuncia di merito”, essa è, per un verso, suscettibile di rilievo officioso in ogni stato e grado del processo e, per altro verso e in termini generali – con la sola preclusione del c.d. giudicato interno – eccepibile, anche per la prima volta, in appello, non ostandovi il divieto di ius novorum ex art. 104, comma 1, Cod. proc. amm. (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 26 aprile 2018, n. 4 e, da ultimo ed in termini, C.G.A.R.S., 13 maggio 2019, n. 428).

Ciò detto, importa, osservare che la natura multipla degli interessi (pubblici, privati, collettivi o diffusi) coinvolti dall’azione amministrativa e, per altro verso, le frequenti ragioni di connessione funzionale tra soggetti pubblici a vario titolo coinvolti (cfr. artt. 9 e 14 l. n. 241 del 1990), danno conto della legittimazione passiva spettante – oltre che ai controinteressati, pubblici o privati (i quali ultimi, a determinate condizioni, rivestono la posizione di parti necessarie del giudizio: cfr. art. 41, comma 2, e 49 Cod. proc. amm.) – a varie figure di (passivamente) cointeressati.

Ne discende che, quando – come, all’evidenza, avviene nel caso di specie – il ricorso introduttivo della lite sia stato notificato, oltreché all’Amministrazione che ha formalmente adottato il provvedimento impugnato, anche ad altra Amministrazione la quale, quand’anche non sia parte necessaria del processo (perché il provvedimento impugnato non le è soggettivamente e formalmente imputabile), ha – per ragioni di ordine funzionale, di intreccio di competenze ovvero di connessione tra procedimenti – obiettivo interesse all’esito della lite, l’atto introduttivo va inteso come acquisito in termini di denunciatio litis, che la pone in condizione di curare il proprio cointeresse (nel senso precipuo di interesse connesso) nella controversia

Ciò non impedisce, naturalmente, con la rituale formalizzazione dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva, la facoltà di chiedere la propria estromissione dalla lite, non trattandosi di parte necessaria del giudizio e potendo la denunciatio non correlarsi ad interessi stimati concretamente apprezzabili o meritevoli di essere tutelati. Cionondimeno, quando l’Amministrazione intimata si sia costituita in giudizio ed abbia resistito, nel merito, al ricorso del privato senza formulare eccezioni sulla propria posizione sostanziale legittimante, deve ritenersi preclusa, pur in assenza di giudicato interno, l’eccezione che viene formulata per la prima volta in appello, che si colorerebbe (pur non confliggendo, sul piano formale, con il divieto di ius novorum) dell’abusività che connota l’esercizio di facoltà processuali contra factum proprium (cfr., in fattispecie analoga, Cons. Stato, V, 30 agosto 2004, n. 5645).

Si deve, perciò, tenere distinta l’ipotesi della obiettiva e formale estraneità alla controversia del soggetto pubblico passivamente non legittimato (per la quale la rilevabilità officiosa e l’assenza di preclusione ex novis alla deduzione di parte, in ogni stato e grado del giudizio, non soffrono eccezioni) dalla situazione di sostanziale cointeressenza dal lato passivo, che consolida il litisconsorzio processuale facoltativo per accettazione del contraddittorio, in assenza di tempestiva richiesta di estromissione ex denuntiata lite.

Nel caso di specie, l’interesse del Ministero della giustizia non è dubbio e, segnatamente, si declina:

a) sul piano funzionale dei compiti del Comitato direttivo della Scuola della Magistratura, responsabile della “programmazione annuale dell’attività didattica”, che deve tenere conto delle “linee programmatiche” proposte annualmente non solo dal CSM, ma anche dal Ministero (cfr. art. 5, comma 2 d.lgs. n. 26 del 2006), cui è trasmessa anche, all’esito della approvazione, la “relazione annuale” sulla organizzazione dell’attività didattica;

b) sul piano strutturale della composizione soggettiva del Comitato direttivo, che vede il concorso del CSM e del Ministero nella nomina della quota dei componenti di rispettiva competenza, pur destinati ad esercitare le loro funzioni in condizioni di indipendenza dall’organo che li ha nominati (cfr. art. 7 d.lgs. cit.).

La richiesta di estromissione va, perciò, disattesa.

3.- Nel merito, con unico, articolato motivo di doglianza le appellanti lamentano “violazione e falsa applicazione dell'art. 6 del decreto legislativo 30 gennaio 2006, n. 26”.

3.1.- Sotto un primo profilo, le appellanti amministrazioni contestano, in termini generali, la ricostruzione, operata dalla sentenza, dell’iter procedimentale per la scelta dei componenti del Comitato direttivo: a fronte della ritenuta necessità di un’effettiva e motivata comparazione di tutti i partecipanti all’interpello, il riferimento alla “nomina”, operato dalla disposizione, sarebbe insufficiente a fondarvi l’obbligo di una vera e propria procedura concorsuale, analoga a quella prevista per il conferimento delle funzioni direttive o semidirettive. La norma non solo non detterebbe (in parallelismo con il carattere “fiduciario” della designazione rimessa al Ministro) “alcun vincolante parametro” per la scelta; ma neppure imporrebbe il ricorso a una procedura “strettamente comparativa”: si tratterebbe di una “norma in bianco”, idonea, nella sua genericità, ad assicurare al CSM, quale organo di governo autonomo della magistratura, la più ampia discrezionalità nella designazione dei componenti della Scuola.

La logica sarebbe di consentire al CSM di enucleare una composizione del Comitato equilibrata ed idonea, come tale, a coprire tutti i settori dell’attività formativa della Scuola, e non già di mirare alla selezione dei soggetti che in assoluto presentino le migliori competenze nei vari settori, ma che, visti nell’ambito della loro coordinata attività all’interno del Comitato, potrebbero non assicurare la completezza della “proposta culturale” della Scuola.

Per giunta, l’onere di una comparazione diretta ed esplicita tra i diversi aspiranti si risolverebbe in adempimento eccessivamente laborioso e defatigante, e, comechessia, foriero di una motivazione della delibera inevitabilmente poco lineare.

3.2.- Il motivo non è fondato.

Come si è visto, il rammentato art. 6, comma 1 del d.lgs. n. 26 del 2006 disciplina la “nomina” dei «componenti» del Comitato direttivo della Scuola per la Magistratura, prevedendo che essi siano «scelti»” – nella misura di sette dei dodici complessivi – «fra magistrati, anche in quiescenza, che abbiano conseguito almeno la terza valutazione di professionalità», sei dei quali designati dal Consiglio Superiore della Magistratura ed uno dal Ministro della giustizia. Dei residui cinque componenti, tre sono scelti «fra professori universitari, anche in quiescenza» (uno dei quali designato dal CSM, gli altri due dal Ministro) e due «fra avvocati che abbiano esercitato la professione per almeno dieci anni» (entrambi nominati dal Ministro).

L’ordinamento parla di “nomina” per individuare due fenomeni giuridici ben distinguibili: a) il primo consiste nel potere sostanziale di scegliere i soggetti da preporre ad un ufficio, da destinare ad una carica o cui conferire un incarico (c.d. nomina-scelta); b) il secondo si riferisce al potere formale di investitura nella titolarità di un ufficio (c.d. nomina-investitura).

Nel primo caso, si tratta di un atto sostanziale, espressione del potere discrezionale di scelta di soggetti destinati alla carica, che, come tale, si distingue (e contrappone) ad altre forme di individuazione della persona che deve ricoprire un determinato ufficio, come l’elezione, il concorso, la designazione, la cooptazione ovvero, in ipotesi residuali, l’estrazione a sorte.

Nel secondo caso, si tratta di un atto formale con cui una persona, previamente individuata mediante uno dei suddetti modi, viene preposta all’ufficio o investita dell’incarico: come tale, si contrappone a modalità alternative di preposizione, come la proclamazione, l’investitura ope legis, l’assunzione, l’accettazione, la presa di possesso, l’insediamento.

Con evidenza – per quanto sia possibile che i due momenti si sintetizzino in un’unica fattispecie – il primo profilo ha carattere strumentale (mira ad individuare il destinatario della scelta), il secondo ha carattere formale (viene a renderla definitiva, perfezionando il relativo procedimento).

Ciò posto, nel caso in esame viene in considerazione (come fatto palese anche dall’uso delle parole all’interno della disposizione normativa) una ipotesi di nomina-scelta.

Mentre, però, relativamente alla competenza del Ministro, la discrezionalità selettiva che la connota può arrivare ad assumere, per la natura strettamente amministrativa dell’organo e la responsabilità politica del Ministro, il tratto di una individuazione intuitu personae (cioè di una nomina ‘a scelta’, dove l’apprezzamento del merito professionale e della capacità rispetto all’ufficio ad quem sono rimessi all’autonomo apprezzamento discrezionale ministeriale), nel caso del Consiglio Superiore della Magistratura (che non è organo politico ma organo di alta amministrazione di rilievo costituzionale; cfr. ex multis Cons. Stato, V, 7 gennaio 2021, n. 215), la scelta va connessa non solo all’ufficio di destinazione, ma prima ancora alla particolare natura a struttura del CSM. E proprio in ragione del suo carattere di organo di governo autonomo a base composta ed essenzialmente elettiva, la valutazione tecnico-discrezionale orientata ad una tale selezione va condotta secondo canoni di trasparenza, di verificabilità, di idoneità e di razionalità che accentuino – rapportandoli alle caratteristiche di questo particolare organo di rilievo costituzionale – i connotati già propri di ogni attività amministrativa (cfr. art. 97 Cost. e 1 l. n. 241 del 1990), emancipandoli dai caratteri di una ripartita nomina ‘a scelta’. Sicché, nel rispetto dell’alta funzione propria dell’organo di governo autonomo, costituzionalmente ben distinta da quella ministeriale, e anche ad evitare che l’occasionale formula di rappresentatività del selettore prevalga sull’obiettiva valutazione comparata delle attitudini dei selezionandi, il vaglio della professionalità - in termini di merito e di attitudini - va svolto e congruamente motivato secondo rigorosi ed obiettivi parametri, strettamente professionali e non mai di altra natura o ordine.

Del resto, lo stesso CSM bene ha ritenuto di (almeno) procedimentalizzare la selezione, attraverso la diramazione di un interpello fra i magistrati in possesso dei requisiti, preordinato ad acquisire le manifestazioni “disponibilità” degli “aspiranti”, accompagnate da una “autorelazione” strumentale a “fornire […] elementi di valutazione”, in ordine alla “idoneità specifica a ricoprire l’incarico”, avuto riguardo alle “esperienze maturate nella giurisdizione sia di merito, nei differenti settori di competenza”, alle “pregresse specifiche esperienze nell'attività di formazione e in attività di rilevanza organizzativa”, alla “comprovata attitudine all'approccio multidisciplinare”, alle “attività di studio e di ricerca scientifica, connesse all'attività di formazione”; al “possesso di specifiche attitudini tecniche, culturali e organizzative”, alla “comprovata conoscenza delle problematiche della didattica e della formazione professionale”, alla “conoscenza di una o più lingue straniere, attestate da idonea documentazione o da autocertificazione”.

Si tratta, all’evidenza, già di una prefigurazione di criteri e di modalità di esercizio dell’attività selettiva che, operando nella logica dell’autovincolo, mira, in assenza di criteri normativi già fissati dal precetto primario o trasfusi in atti programmatici generali, a orientare la facoltà di scelta lungo il giusto crinale di una discrezionalità tecnica, che esclude – obbligando alla coerenza e imponendo adeguata e congrua motivazione – sia nomine arbitrarie (in quanto affidate a logiche non verificabili) sia designazioni meramente fiduciarie (che prescindono da profili meritocratici, e incardinate invece su criteri estranei alla funzione propria del governo autonomo della magistratura, come costituzionalmente configurato).

Se, allora, è vero che la procedura per cui è causa non può essere sovrapposta a quella, normativamente regolata sulla base di specifici indicatori, stabilita per la selezione di magistrati per incarichi direttivi o semidirettivi, è vero anche – se quod differtur non aufertur – che la stessa deve considerarsi (se non “necessariamente concorsuale”, come con impropria ma innocua terminologia ha sancito il primo giudice) comunque “selettiva”. Ne consegue, per naturale coerenza dell’ordinamento anche in rapporto all’immanente principio di legalità e a quello di razionalità amministrativa ex art. 97 Cost., l’obbligo di individuare, nella pluralità di candidati, i migliori tra essi, mediante una attività tecnico-valutativa e di corrispondente giudizio, strettamente legata al “principio meritocratico”, secondo quanto indicato nello stesso “bando-interpello”, volta a una scelta motivata e leggibile e non già, per così dire “politica” o comunque partitamente “fiduciaria”.

A tal fine, gli indici predeterminati e ritenuti rilevanti (essenzialmente correlati all’esperienza maturata nell’esercizio della giurisdizione e alla attività dedicata alla formazione), dovevano ritenersi idonei a vincolare il CSM a prenderli espressamente in considerazione e a motivare sulla loro concreta utilizzazione ai fini delle valutazioni comparative.

Bene, perciò, il primo giudice ha stigmatizzato la circostanza che nella delibera impugnata si rinvenga solo un breve cenno alle figure e alle esperienze professionali dei magistrati pretermessi, a fronte di un approfondito excursus su quelle dei sei prescelti: difetta una valutazione comparativa, sia pure sintetica, tale da consentire di riscontrare che le scelte effettuate siano rispondenti alla logica seguita; dal che una decisiva (e ben ritenuta dal primo giudice) carenza di motivazione. A questa non può supplire – per il principio che, massimamente per le procedure orientate a finalità selettive, ne preclude l’integrazione postuma apud iudicem – la difesa erariale (es. Cons. Stato, II, 18 giugno 2020, n. 3909)

3.3.- Le appellanti amministrazioni denunciano poi un’ulteriore contraddizione della sentenza, laddove – dopo aver ritenuto corretta la decisione del CSM di operare un’iniziale “scrematura” degli ottantotto candidati che avevano presentato domanda di adesione all’interpello mediante una “valutazione in assoluto” – ha affermato, in relazione alla sola valutazione dei venti magistrati ammessi alla fase successiva e alla prevista audizione personale, che “a quel punto il CSM [avrebbe dovuto] comunque illustrare le ragioni per le quali [aveva ritenuto] proprio i sei poi prescelti come magistrati più idonei a consentire quella composizione orientata a ‘una prospettiva culturale poliedrica’ invocata in questa sede”.

In sostanza, delle due l’una: o era necessaria una valutazione comparativa, e allora tale modalità procedimentale e motivazionale avrebbe dovuto essere rispettata già nella prima fase del procedimento di selezione delle candidature; oppure occorreva soltanto una “valutazione integrata e complessiva” per dar luogo alla ritenuta combinazione migliore rispetto alle candidature espresse: ma in tale seconda ipotesi una complessa e articolata comparazione “relativa” tra le varie posizioni, come quella della seconda e decisiva fase, sarebbe stata ultronea.

Inoltre, secondo le amministrazioni appellanti, a seguire la sentenza ogni candidato avrebbe dovuto essere implausibilmente confrontato con ogni possibile combinazione degli altri candidati ammessi alla seconda fase, secondo un meccanismo che avrebbe portato a moltiplicare in maniera esponenziale il numero delle valutazioni da effettuare. E se, per ragioni di coerenza, lo stesso metodo si fosse imposto nella prima fase selettiva, “non sarebbero bastate le pur 11 sedute che la commissione ha impiegato per arrivare alla delibera impugnata, ma ne sarebbero occorse un numero pari a tutte le possibili combinazioni di aspiranti a ricoprire un posto nel Comitato direttivo”.

3.4.- L’argomento prova troppo ed è comunque infondato.

I connotati sopra evidenziati che debbono, in ragione della struttura e del carattere proprio dell’organo di governo autonomo della magistratura, caratterizzare l’intero procedimento in questione, non escludono che la selezione proceda anzitutto attraverso una, trasparente, fase di primo vaglio (per così dire, di “scrematura”), realizzata con il mero confronto fra i titoli (autorelazioni) allegati: ciò al fine di ridurre la platea dei candidati in possesso delle caratteristiche attitudinali. Conclusa una tale fase, si deve però procedere a un più analitico confronto comparativo della professionalità, operato anche attraverso l’audizione personale e la valutazione delle personali esperienze curriculari e attitudini funzionali.

Non sussistono, perciò, contraddizioni nel ritenere non illegittimo l’operato relativamente alla prima fase (del resto nemmeno contestato – anche nel difetto di interesse - dal ricorso di prime cure) e nel ritenere invece illegittima l’omissione, nella seconda fase, di un’effettiva comparazione “relativa”.

A diverso esito non porta la preoccupazione – sulla quale insiste la difesa erariale e che trova, di suo, fondamento nella logica dell’interpello diramato dal CSM – di assicurare, all’esito della selezione, un’adeguata e strutturata compagine di designati, che potesse interpretare le “variegate esigenze della formazione dei magistrati” e che “rappresentasse un equilibrio (non certo facile) tra le diverse istanze provenienti dall’esercizio della giurisdizione su tutto il territorio nazionale”. Non possono essere questi i criteri di scelta, mentre – grazie anche al consistente numero di aspiranti - ben potrebbero essere questi, applicati i seri criteri della professionalità, i risultati raggiungibili mediante un’idonea istruttoria ed un’adeguata motivazione, alla luce di un oggettivo e trasparente confronto comparativo tra i candidati.

Quanto all’assunto che un effettivo impegno selettivo avrebbe imposto adempimenti impegnativi e defatiganti, si tratta, come è chiaro di un mero adducere inconveniens, che non ha rilievo ai fini dell’apprezzamento della legittimità amministrativa.

4.- Un distinto ordine di censure le appellanti amministrazioni formulano, infine, in relazione alle ragioni (contraddittorie o non perspicue) per cui l’appellata sentenza ritiene non adeguatamente motivata e parzialmente erronea la valutazione comparativa degli aspetti curriculari dei candidati, con precipuo riferimento alla posizione dell’appellato.

In particolare, la sentenza ha accolto il relativo motivo di doglianza, pur riconoscendo espressamente (e contraddittoriamente) la “non decisività” dell’errore (nella valutazione degli incarichi ricoperti: che non avrebbe avuto ragione di operare alla stregua di una mera “misurazione quantitativa”).

Invero, l’erronea indicazione del numero degli incarichi svolti dall’appellato come relatore o il riferimento ad uno svolgimento biennale (invece che quadriennale) dell’incarico di formatore decentrato apparirebbe irrilevante, in quanto in sé “priva di una effettiva rilevanza selettiva”.

4.1.- Il motivo non è fondato.

In realtà, nell’evidenziare l’inadeguato confronto comparativo del curriculum professionale dell’appellato con gli altri candidati, la sentenza solo precisa che l’omessa indicazione del rinnovo (biennale) dell’incarico di formatore decentrato non era decisiva (in quanto la “durata della formazione decentrata” rappresentava solo uno dei vari criteri da considerare nella valutazione): in concreto, bene il “travisamento” è stato ritenuto sintomo di eccesso di potere, rilevante ai fini della rinnovazione della valutazione, pur non essendo criterio in sé esclusivo o decisivo.

In questo senso, la sentenza non è censurabile per il profilo in esame. Sicché non occorre esaminare il motivo di appello incidentale condizionato sullo stesso punto formalizzato dall’appellato.

5.- Alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello va respinto.

Sussistono giustificati motivi, anche in considerazione della novità delle questioni esaminate, per disporre l’integrale compensazione, tra le parti costituite, di spese e competenze di lite.

PQM

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità.

Così deciso nella camera di consiglio del giorno 11 novembre 2020, con le modalità di cui all’art. 4, comma 1, ultimo periodo, d. l. n. 28/2020 e all'art. 25 d. l. n. 137/2020, con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente
Fabio Franconiero, Consigliere
Federico Di Matteo, Consigliere
Angela Rotondano, Consigliere
Giovanni Grasso, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giovanni Grasso Giuseppe Severini


 

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