>Omesso versamento delle ritenute certificate dichiarate: la Corte Costituzionale dichiara illegittimo l’allargamento della fattispecie del 2015

Con la sentenza n. 175 del 14 luglio 2022 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23) - nella parte in cui ha inserito le parole «dovute sulla base della stessa dichiarazione o» nel testo dell’art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74

IL CASO


Con ordinanza del 27 maggio 2021 il Tribunale ordinario di Monza, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, 76, 77, primo comma, della Costituzione, sia dell’art. 7, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23) - nella parte in cui ha inserito le parole «dovute sulla base della stessa dichiarazione o» nel testo dell’art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205) - sia, conseguentemente, dello stesso art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, come modificato, nella parte in cui prevede la rilevanza penale di omessi versamenti di ritenute dovute sulla base della mera dichiarazione annuale del sostituto d’imposta.

Per quanto alla violazione degli artt. 25, secondo comma, 76 e 77, primo comma, Cost., il Tribunale rimettente ritiene che l’ampliamento della fattispecie incriminatrice del delitto di omesso versamento delle ritenute, di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, non trovi alcuna copertura nella delega di cui all’art. 8 della legge 11 marzo 2014, n. 23 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita).

Questa disposizione avrebbe delegato il Governo alla «revisione del sistema sanzionatorio penale tributario», limitando lo spazio d’azione del legislatore delegato alla mera «possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto conto anche di adeguate soglie di punibilità».
Il Governo, quindi, non avrebbe potuto introdurre una nuova fattispecie penale, prima non prevista, così violando anche il principio di stretta legalità di cui all’art. 25, secondo comma, Cost.

Le disposizioni censurate violerebbero, poi, anche il principio di uguaglianza e quello di ragionevolezza (art. 3 Cost.).
In particolare, il Tribunale osservava che sarebbe punito il contribuente che presenti un modello 770 veritiero e ometta di versare le ritenute per un importo superiore alla soglia di euro 150.000, mentre andrebbe esente da pena il sostituto di imposta che, rendendosi ugualmente inadempiente a un debito tributario di pari entità, abbia presentato una dichiarazione infedele, indicando un debito inferiore alla soglia di punibilità.

LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE


La delega ed il contrasto giurisprudenziale


La Corte Costituzionale con la sentenza n. 175 del 14 luglio 2022, in primis inquadra le censure del giudice rimettente nel contesto dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale, ricordando in fine, come con l’art. 1, comma 414, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, legge finanziaria 2005), è stato l’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 che prevede il delitto di omesso versamento delle ritenute.

La norma ha, in sostanza, reintrodotto, con alcune modifiche, il delitto di omesso versamento di ritenute certificate, già disciplinato dall’art. 2, comma 3, del d.l. n. 429 del 1982, come convertito, e come sostituito dalla novella di cui al d.l. n. 83 del 1991, lasciando però immuni da sanzione penale i casi di mancato versamento all’erario di ritenute che non fossero state certificate.

Con la legge n. 23 del 2014, invece, il Parlamento ha conferito un’ampia delega al Governo finalizzata a ridisegnare l’ordinamento tributario per «un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita», ed ha riguardato la «revisione del sistema sanzionatorio», da attuarsi secondo i criteri dettati dall’art. 8 della legge n. 23 del 2014.

Quest’ ultima disposizione ha delegato il Governo a procedere «alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, prevedendo: la punibilità con la pena detentiva compresa fra un minimo di sei mesi e un massimo di sei anni, dando rilievo, tenuto conto di adeguate soglie di punibilità, alla configurazione del reato per i comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa, per i quali non possono comunque essere ridotte le pene minime previste dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148; l’individuazione dei confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscale e delle relative conseguenze sanzionatorie; l’efficacia attenuante o esimente dell’adesione alle forme di comunicazione e di cooperazione rafforzata di cui all’articolo 6, comma 1; la revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare, nel rispetto del principio di proporzionalità, le sanzioni all’effettiva gravità dei comportamenti; la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto anche conto di adeguate soglie di punibilità; l’estensione della possibilità, per l’autorità giudiziaria, di affidare in custodia giudiziale i beni sequestrati nell’ambito di procedimenti penali relativi a delitti tributari agli organi dell’amministrazione finanziaria che ne facciano richiesta al fine di utilizzarli direttamente per le proprie esigenze operative».

In attuazione di tale delega, l’art. 7, comma 1, lettere a) e b), del d.lgs. n. 158 del 2015 ha modificato la previsione di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, rispettivamente nella rubrica e nella descrizione della fattispecie, con questa formulazione «[è] punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta».

Va evidenziato che sul punto si era sviluppato un contrasto in seno alla giurisprudenza di legittimità.

Da una parte (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 15 novembre 2012-11 gennaio 2013, n. 1443), si riconosceva alla dichiarazione annuale del sostituto di imposta (modello 770) valenza probatoria in ordine all’avvenuto rilascio delle certificazioni ai sostituiti, mentre dall’altra, si negava ciò ritenendo che occorresse la prova del rilascio delle certificazioni ai sostituiti da parte del sostituto (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 8 aprile-1° ottobre 2014, n. 40526).

Il contrasto è stato composto dalle sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza 22 marzo-1° giugno 2018, n. 24782, che hanno affermato che «con riferimento all’art. 10-bis nella formulazione anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 158 del 2015, la dichiarazione modello 770 proveniente dal sostituto di imposta non può essere ritenuta di per sé sola sufficiente ad integrare la prova della avvenuta consegna al sostituito della certificazione fiscale».

Fatte queste premesse, per la Corte sussiste il denunciato eccesso di delega (artt. 76 e 77, primo comma, Cost.) che, concernendo l’introduzione di una fattispecie di reato da parte del legislatore delegato, va valutato congiuntamente al rispetto della riserva di legge e del principio di stretta legalità di cui all’art. 25, secondo comma, Cost.

L’analisi della norma censurata alla luce della delega e la teoria interpretativa dell’Avvocatura dello Stato


La disposizione censurata ha, introdotto una nuova fattispecie di reato, nel senso che ha previsto come condotta penalmente perseguibile ciò che prima costituiva un illecito amministrativo tributario: l’omesso versamento, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta, delle ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione per un ammontare superiore a una determinata soglia di punibilità (fissata in 150.000 euro per ciascun periodo d’imposta).

Al momento della delega del 2014, il reato previsto, concernente la condotta omissiva del sostituto, era solo quello dell’omesso versamento delle ritenute certificate, per effetto del ripristino della sanzione penale di dieci anni prima, mentre la condotta di omesso versamento delle ritenute dovute in base alla dichiarazione del sostituto rimaneva distinta e non sanzionata penalmente, pur costituendo anch’essa un illecito in ragione dell’inadempimento dell’obbligo fiscale, assoggettato a sanzione amministrativa tributaria.

Il legislatore avrebbe potuto ripristinare la sanzionabilità penale anche di questa condotta, ma avrebbe dovuto farlo con legge ordinaria, poiché la delega di cui all’art. 8, comma 1, della legge n. 23 del 2014, il legislatore delegato non era autorizzato a farlo.

Pertanto, nel reintrodurre questa fattispecie penale, equiparandola a quella già prevista dall’art. 10-bis, ha violato i princìpi e criteri direttivi della delega.

La delega riguardava infatti la revisione del sistema sanzionatorio penale tributario con specifici criteri, secondo una duplice direttrice.

La prima riguardava la determinazione della pena: la revisione doveva avvenire secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, prevedendo in particolare la punibilità con la pena detentiva compresa fra un minimo di sei mesi e un massimo di sei anni, tenendo conto di adeguate soglie di punibilità.

Si prevedeva, inoltre, la possibilità di ridurre le sanzioni per le «fattispecie meno gravi» o di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto anche conto di adeguate soglie di punibilità.

Il legislatore delegato avrebbe potuto mitigare, quindi, e finanche depenalizzare reati per condotte meno gravi.

L’altra direttrice della delega concerneva sì la configurazione di fattispecie penali, ma con riferimento a condotte tipiche di particolare gravità.

Il legislatore delegato era, infatti, facoltizzato alla configurazione del reato per «i comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa».

Si tratta di gravi condotte insidiose per il fisco, poste in essere da chi con frode o falsificazione di documenti mira a sottrarsi all’obbligo tributario.

Invece, la condotta di chi non versa le ritenute indicate nella relativa dichiarazione come sostituto d’imposta non è ascrivibile a «comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa».

Né è riconducibile al regime della «dichiarazione infedele» dal momento che ciò che rileva è l’omesso versamento delle ritenute «dovute in base alla dichiarazione», a prescindere dal fatto che essa sia fedele o infedele.

Questa condotta, anche quando era penalmente rilevante (fino al 2000), integrava una mera contravvenzione punita con pena alternativa e al momento della delega in esame, costituiva un illecito assoggettato a sanzione amministrativa tributaria, quindi, sarebbe semmai rientrata tra le «fattispecie meno gravi» per le quali la pena, ove il fatto costituisse reato, avrebbe potuto essere mitigata e finanche trasformata in sanzione amministrativa.

Nella relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo, si legge che il Governo, recependo i principi e criteri della delega , aveva inteso «ridurre l’area di intervento della sanzione punitiva per eccellenza - quella penale - ai soli casi connotati da un particolare disvalore giuridico, oltre che etico e sociale, identificati, in particolare, nei comportamenti artificiosi, fraudolenti e simulatori, oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ritenuti insidiosi anche rispetto all’attività di controllo».

Se, quindi, l’innalzamento della tutela penale era rivolto ai comportamenti più insidiosi, in ordine ai fatti privi dei suddetti connotati di fraudolenza nella relazione illustrativa si evidenziava che il legislatore delegato era, invece, chiamato ad un intervento «tendenzialmente mitigatore», da effettuarsi in relazione al delitto di omesso versamento delle ritenute certificate (art. 10-bis) e di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (art. 10-ter), e da attuarsi attraverso l’introduzione di soglie di punibilità al di sotto delle quali «il ricorso a misure sanzionatorie di tipo amministrativo - peraltro già previste dalla legislazione vigente - appare proporzionato alle caratteristiche dell’illecito».

Il delitto introdotto dalla disposizione censurata attiene ad una condotta puramente omissiva, non fraudolenta, né simulatoria, il che incentra il disvalore del fatto sul momento dell’adempimento del debito tributario, perché colpisce il sostituto di imposta che non versa le ritenute dovute sulla base della dichiarazione annuale o certificate.
Con l’innalzamento della soglia di punibilità fino ad un importo superiore a 150.000 euro per ciascun anno di imposta si è determinato poi la depenalizzazione delle condotte omissive per importi superiori alla precedente meno elevata soglia di punibilità (50.000 euro).

In definitiva, il legislatore delegato ha introdotto nell’art. 10-bis una nuova fattispecie penale - omesso versamento di ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione del sostituto- , affiancandola a quella già esistente - omesso versamento di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti-, senza essere autorizzato a farlo dalla legge di delega, mentre sarebbe stato necessario un criterio preciso e definito per poter essere rispettoso anche del principio di stretta legalità in materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.).

In giudizio l’Avvocatura dello Stato ha dedotto una finalità latamente interpretativa che il legislatore delegato avrebbe perseguito: non quella di introdurre una nuova fattispecie di reato, bensì quella di chiarire la portata della fattispecie già esistente, contemplata dall’art. 10-bis che sanzionava (solo) l’omesso versamento delle ritenute certificate.

L’intento ipotizzato quindi del legislatore delegato sarebbe quello di “chiarire” il punto controverso del dibattito giurisprudenziale in corso, intervenendo a sostegno della tesi, in passato maggioritaria, ma poi oggetto di revirement e infine smentita dalle Sezioni unite del 2018 (sentenza n. 24782 del 2018), secondo cui dalla dichiarazione del sostituto poteva desumersi, induttivamente, la prova del rilascio delle certificazioni ai sostituiti.

Per la Corte, questo, forse spiega, ma non legittima, l’introduzione della nuova fattispecie penale da parte del legislatore delegato.

La valenza interpretativa, infatti, non solo era smentita dal tenore letterale della disposizione, che non aveva la formulazione tipica delle norme di interpretazione autentica, ma era anche, inammissibile perché il principio di non retroattività della legge penale esclude una tale possibilità in malam partem con ampliamento del perimetro della condotta penalmente sanzionata.
Deve, quindi, escludersi che il legislatore delegato potesse intervenire in un dibattito giurisprudenziale ancora in corso per offrire un “soccorso normativo” alla tesi di maggior rigore, secondo cui era sufficiente, sul piano probatorio, che le ritenute risultassero dalla dichiarazione perché potesse ritenersi provato il rilascio delle relative certificazioni ai sostituiti.

LE CONCLUSIONI DELLA CORTE


In conclusione, la scelta del legislatore delegato di inserire le parole «dovute sulla base della stessa dichiarazione o» nella fattispecie incriminatrice del delitto di omesso versamento delle ritenute di cui all’art.10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 contrasta con gli artt. 25, secondo comma, 76 e 77, primo comma, Cost., non essendo sorretta dai principi e dai criteri direttivi della delega legislativa.
Dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale, stante la sussistenza di «un rapporto di chiara consequenzialità con la decisione assunta», discende, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la dichiarazione di illegittimità costituzionale consequenziale dell’art. 7, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 158 del 2015, che ha inserito nella rubrica del reato previsto dall’art. 10-bis le parole «dovute o». Analoga declaratoria investe anche la rubrica di quest’ultima disposizione limitatamente alle parole «dovute o».

Per effetto della presente dichiarazione di illegittimità costituzionale viene ripristinato il regime vigente prima del d.lgs. n. 158 del 2015, che ha introdotto la disposizione censurata, sicché da una parte l’integrazione della fattispecie penale dell’art. 10-bis richiede che il mancato versamento da parte del sostituto, per un importo superiore alla soglia di punibilità, riguardi le ritenute certificate; dall’altra il mancato versamento delle ritenute risultanti dalla dichiarazione, ma delle quali non c’è prova del rilascio delle relative certificazioni ai sostituiti, costituisce illecito amministrativo tributario.

Sull’assetto del regime sanzionatorio, si deve rilevare che la Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 12 aprile 2019, n. 10378, ha statuito che, nel caso in cui il sostituto ometta di versare le somme, per le quali ha operato le ritenute, il sostituito non è tenuto in solido in sede di riscossione, atteso che la responsabilità solidale prevista dall’art. 35 del d.P.R. n. 602 del 1973 è espressamente condizionata alla circostanza che non siano state effettuate le ritenute.

In questa prospettiva il rilascio della relativa certificazione da parte del sostituto sta, quindi, perdendo quella valenza che in passato consentiva di identificare una fattispecie più grave, sanzionata penalmente, rispetto a una meno grave, sanzionata solo in via amministrativa.

La Corte, tuttavia, conclude sul punto ricordando che “Spetta al legislatore rivedere tale complessivo regime sanzionatorio per renderlo maggiormente funzionale e coerente.”

Valeria Nicoletti

Avvocato tributarista, collabora con DirittoItaliano dal 2022 E' possibile contattarlo all'indirizzo email

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