>Il trattamento fiscale delle criptovalute

Nonostante gli oltre dieci anni di circolazione di questi strumenti, quella sul trattamento impositivo delle criptovalute è una questione che non trova ad oggi, in Italia, regolamentazione alcuna.
L’unica definizione normativa di moneta virtuale in una legge domestica è contenuta all’interno dell’art. 1, co. 2, lett. q) del D.lgs. 15 dicembre 2017, n. 231, come modificato dal D.lgs. 4 ottobre 2019 n. 125, attuativo della direttiva UE 2018/843 (c.d. V direttiva antiriciclaggio) emanato in sostituzione del D.lgs. 25 maggio 2017, n. 90 in attuazione della direttiva UE 2015/849 (c.d. IV direttiva antiriciclaggio).
Il decreto legislativo in questione definisce la criptovaluta come una “[…] rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un'autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l'acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.

Per poter circolare dunque le criptomonete utilizzano un sistema di comunicazione o architettura di rete detto “peer to peer” (spesso indicato con l’acronimo p2p): si tratta di un sistema di scambio tra soggetti in posizione di pari ordinazione tra loro, ossia senza che su tali scambi intervenga la mediazione di un server che ne assicuri una gestione unitaria.
Proprio dalla meccanismo di funzionamento del sistema di scambio p2p, sopra descritto, deriva la totale deregolamentazione sottesa alla circolazione delle criptovalute, che non può quindi subire il controllo di un’autorità centrale preposta a tali funzioni.
L’assenza di controllo unitario ad opera di un server, caratteristica fondamentale delle monete virtuali, è resa possibile solamente per il tramite di una Distributed Ledger Technology (DLT), ossia letteralmente una tecnologia di contabilità generalizzata: dei “registri elettronici” su cui vengono registrati i movimenti delle criptovalute attraverso un sistema di distribuzione in hardware (c.d. nodi) su rete globale, permette la protezione dei dati.
All’interno di questa macrocategoria, particolare rilevanza è rivestita dalle blockchain, ossia un particolare tipo di DTL in cui le transazioni sono effettuate mediante l’apposizione di una firma crittografica.

Quanto alla disciplina fiscale applicabile alle monete digitali, alla già evidenziata carenza normativa ha sopperito in primo luogo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza 22 ottobre 2015, causa C 264/14.
La questione su cui il giudice europeo si è pronunciato riguardava specificamente la sottoponibilità o meno delle operazioni aventi ad oggetto criptovalute, nel caso di specie Bitcoin, alla Imposta sul Valore Aggiunto ed originava dalla richiesta da parte del signor David Hedqvist, il quale esercitava attività di acquisto di Bitcoin mediante l’utilizzo di valute tradizionali, di una domanda di pronuncia  pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE allo Högsta förvaltningsdomstolen (Corte suprema amministrativa svedese), circa il trattamento impositivo di tale attività.
In data 14 ottobre 2013 il giudice svedese si pronunciava in merito alla riconducibilità di tale attività nel novero delle operazioni IVA esenti.
La Skatteverket, ossia l’Amministrazione finanziaria svedese, finì per sollevare domanda di pronuncia giudiziale alla CGUE circa l’interpretazione degli artt. 2, par. 1, e 135, par. 1, Direttiva 2006/112/CE (c.d. Direttiva IVA).
La domanda dell’A.F. riguardava l’interpretazione da attribuire alle operazioni svolte dal signor Hedqvist per comprendere se tali attività fossero o meno IVA imponibili.
In questo contesto, il giudice europeo ha dunque equiparato le monete virtuali a quelle aventi corso legale, disponendone, ai sensi dell’art. 135, par. 1, Direttiva n. 112 del 2006, l’esenzione dall’IVA.
Specificamente la CGUE dispone che: «1) La Corte interpreta l'art. 2, par. 1, lettera c), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, sul sistema comune dell'IVA nel senso che le operazioni come quelle oggetto del procedimento principale rappresentano - in conformità alla stessa direttiva - prestazioni di servizi a titolo oneroso risultando nel cambio di valuta tradizionale contro la valuta virtuale «bitcoin» e viceversa, un rapporto giuridico sinallagmatico ove “il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al beneficiario”. […] 2) La Corte interpreta l'articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2006/112 nel senso che, costituiscono operazioni esenti dall'IVA, ai sensi della succitata direttiva, le prestazioni di servizi, come quelle del procedimento principale, che constano nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale «bitcoin» e viceversa, ancorché realizzate mediante il corrispettivo di una somma equivalente alla differenza tra, il prezzo al quale l'operatore interessato acquista le valute e, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti».

La sentenza della CGUE ha dunque costituito il punto di partenza su cui si fonda anche la successiva pronuncia del TAR Lazio n. 1077 del 27 Gennaio 2020, nonché la successiva Risposta n. 788 del 2021 ad una istanza di interpello .
Con la pronuncia del 27/01/2020 n. 1077 il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, partendo dalla classificazione delle operazioni concernenti le criptovalute con quelle “relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio” di cui alla lettera e), dell’art. 135, paragrafo 2, Direttiva n. 112 del 2006 da cui deriva l’esenzione dall’IVA, operato dalla CGUE con la sentenza sopra riportata; ha disposto, quanto alla sottoposizione all’imposta sul reddito, l’assimilazione delle operazioni aventi ad oggetto criptovalute a quelle effettuate con le valute estere aventi corso legale.
Il TAR ha dunque disposto che dovrà applicarsi l’articolo 67 TUIR sui redditi diversi aventi natura finanziaria, che nell’ultimo capoverso del comma 1, lettera c-ter) dispone che: « Le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate. […] Agli effetti dell’applicazione della presente lettera si considera cessione a titolo oneroso anche il prelievo delle valute estere dal deposito o conto corrente».
La norma sopra richiamata deve tuttavia essere integrata dal successivo comma 1-ter che dispone, ai fini della soggezione alla imposta sui redditi, che tali plusvalenze debbano permanere nei conti correnti del contribuente per un periodo di tempo di sette giorni consecutivi nel medesimo periodo d’imposta, e che tali plusvalenze abbiano valore superiore a euro 51.645,69.

Apprezzabile, a seguito di tale intervento giurisprudenziale, risulta inoltre l’intervento dell’Agenzia delle Entrate che, con la risposta n. 788 del 2021, ha specificato che: « […] le cessioni a termine di valute virtuali rilevano sempre fiscalmente, mentre le cessioni a pronti generalmente non danno origine a redditi imponibili mancando la finalità speculativa, salva l’ipotesi in cui la valuta ceduta derivi da prelievi da portafogli elettronici (wallet), per i quali la giacenza media superi un controvalore di euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d'imposta, ai sensi del combinato disposto degli articoli 67, comma 1, lettera c-ter), e comma 1-ter. Per cessione a pronti si intende una transazione in cui si ha lo scambio contestuale di una valuta contro una valuta differente».

Da quanto disposto discende che ove non si realizzino i presupposti sopra illustrati, non verificandosi alcun presupposto impositivo, non potranno nemmeno dedursi le eventuali minusvalenze.
Un ulteriore conseguenza derivante dall’assoggettamento delle criptovaluta alla lettera c-ter), dell’art. 67, co.1, TUIR è che il valore in euro della giacenza media delle operazioni con le criptovalute in questione viene calcolata secondo il valore di cambio al 1° Gennaio dell’anno in cui il presupposto d’imposta si realizza, così come statuito nella Circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 165 del 24 Giugno 1998 sul “Riordino della disciplina dei redditi di capitale e dei redditi diversi”.
Il valore della giacenza media di cui sopra deve essere verificata rispetto all'insieme di tutti i wallet di cui il contribuente è in possesso.
Conseguentemente, per determinare il valore delle plusvalenze e delle minusvalenze, si applica la regola di cui al co. 1-bis, dell’art. 67, TUIR, il quale dispone che: «si considerano cedute per prime [...] le valute ed i metalli preziosi acquisiti in data più recente».
Ai sensi dell’art. 5 del D.lgs. 21 novembre 1997, n. 461 sul “Riordino della disciplina tributaria dei redditi di capitale e dei redditi diversI […]”, il reddito derivante dalle operazioni aventi ad oggetto le criptovalute, ove percepito dà una persona fisica fuori dall’esercizio dell’attività di impresa, è assoggetto ad imposta sostitutiva con aliquota del 26%.
Quanto agli obblighi di dichiarazione infine, l’art. 4, D.L. 28 Giugno 1960, n. 167 sul monitoraggio fiscale, dispone l’obbligo di indicare la detenzione, degli investimenti all'estero ovvero delle attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia durante il periodo d’imposta, nel quadro RW del Modello Redditi – Persone Fisiche e, specificamente, nella colonna 3 con il codice 14 (Altre attività estere di natura finanziaria e valute virtuali), senza tuttavia compilare la colonna 4 (Codice Paese estero).
Infine la circolare del MEF n. 38/E, del 2013, ha disposto che tale obbligo dichiarativo sussista anche per le predette attività che siano detenute in Italia ma al di fuori del circuito degli intermediari residenti.

Salvatore Marco Barbagallo

Dottore in giurisprudenza. Appassionato di diritto tributario. E' possibile contattarlo all'indirizzo email

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