REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Giacomo Paoloni - Presidente -
Dott. Orlando Villoni - Consigliere -
Dott. Angelo Capozzi - Consigliere -
Dott. Laura Scalia - rel. Consigliere -
Dott. Antonio Corbo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.G.;
avverso la sentenza del 21/05/2015 della Corte di appello di Cagliari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Laura Scalia;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Luigi Birritteri che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Cagliari, confermando la sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Cagliari, ha dichiarato M. G. colpevole del reato di peculato e lo ha condannato alla pena di giustizia.
In tal modo il prevenuto è stato ritenuto responsabile quale tabaccaio incaricato del servizio di riscossione delle tasse automobilistiche, di essersi appropriato di somme a tale titolo percepite dai terzi contribuenti, per avere versato tardivamente all'erario, in violazione del D.P.C.M. 25 gennaio 1999, n. 11, quanto dovuto nel periodo compreso tra il 21 gennaio ed il 20 maggio 2011.

2. La difesa dell'imputato propone ricorso per cassazione avverso l'indicata sentenza, articolando due motivi.
3. Con il primo motivo, il ricorrente fa valere inosservanza o erronea applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b)), per erronea sussunzione della condotta contestata nella fattispecie normativa di cui all'art. 314 cod. pen.
La natura meramente esecutiva, e come tale priva di discrezionalità ed autonomia decisionale, dell'attività dal prevenuto svolta avrebbe reso impossibile ricondurre la figura del tabaccaio a quella dell'incaricato di pubblico servizio.
Deduce altresì il ricorrente come il ritardo contestato al M. non sarebbe stato di particolare rilievo, nella complessità delle operazioni che i tabaccai sono incaricati di eseguire, e nella previsione peraltro nella normativa di disciplina del rapporto tra Agenzia delle Entrate e tabaccaio, percettore della tassa di circolazione, di una certa tolleranza quanto al riversamento delle somme incassate.

4. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e)).
La sentenza impugnata non avrebbe dato conto, se non in modo contraddittorio in relazione alla natura di reato a consumazione istantanea del peculato, del momento in cui il reato stesso si sarebbe consumato, restando così incerto se siffatto momento dovesse individuarsi: alla data del mancato riversamento delle somme sul conto; alla data dell'addebito informatizzato; alla data del mancato adempimento all'avviso bonario ricevuto o ad altro momento ancora.

Motivazione

1. Il ricorso proposto è inammissibile per manifesta infondatezza e comunque per aspecificità conseguente alla riproposizione di argomenti pienamente vagliati dai giudici di appello.
Secondo consolidato indirizzo di legittimità infatti la mancanza di specificità dei motivi non evoca soltanto le categoria dell'astrattezza e della genericità, ma anche la mancata di correlazione tra le ragioni della decisione e quelle di critica contenute in ricorso.
L'ignoranza delle motivazioni portate nell'impugnata decisione è destinata pertanto a tradursi in vizio di aspecificità e quindi di inammissibilità della critica stessa, ai sensi dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Bricchetti; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta).

2. Le argomentazioni addotte in ricorso non riescono neppure a disallineare il dato logico dell'impugnata sentenza, individuando di quest'ultima cadute e contraddittorietà manifeste, ed a sostenere contrapposte letture, dirette, come tali, ad infirmare la tenuta del giudizio di colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio.

3. Con l'impugnata sentenza la Corte di appello di Cagliari, infatti, ha correttamente qualificato l'attività svolta dal privato delegato alla riscossione delle tasse automobilistiche come pubblico servizio e ha ritenuto integrata, per la contestata condotta appropriativa, la fattispecie del peculato (art. 314 cod. pen.).

Per costante orientamento della Corte, i titolari di tabaccheria autorizzati all'esercizio dell'attività di intermediazione e delegati alla riscossione delle tasse automobilistiche (L. 27 dicembre 1997, n. 49, art. 17) vanno qualificati come incaricati di pubblico servizio poichè essi, per le incombenze loro affidate, subentrano nella posizione della P.A. e svolgono mansioni che ineriscono al corretto e puntuale svolgimento della riscossione medesima (Sez. 6, n. 45082 del 01/10/2015, Marrocco, Rv. 265341; Sez. 6, n. 28974 del 11/06/2013, Palumbo, Rv. 255630; Sez. 6, n. 28424 del 12/06/2013, De Chirico, Rv. 256353).
La Corte territoriale con motivazione non manifestamente illogica, che ripercorre gli esiti di consolidati orientamenti di legittimità, distingue tra la condotta appropriativa qualificata di cui all'art. 314 cod. pen. e quella materiale propria dell'appropriazione indebita aggravata di cui all'art. 646 c.p. e art. 61 c.p., n. 9, escludendo l'integrazione di quest'ultima in capo al tabaccaio, concessionario del servizio.
Il possesso non consegue infatti in capo a quest'ultimo per una attribuzione intuitu personae e l'abuso dei poteri o l'inosservanza dei doveri non servono poi all'agente a procurarsi il possesso, ma ad agevolarlo nella realizzazione della condotta tipica (Sez. 6, n. 34884 del 07/03/2007, Incarbone, Rv. 237693)

4. Le modalità appropriative sono state invero puntualmente descritte nell'impugnata sentenza per congruo richiamo agli esiti del meccanismo di esazione, come convenzionalmente fissato tra il delegato alla riscossione e l'Ufficio Gestione Tributi della Direzione Generale dell'Agenzia delle Entrate, sottolineandosi dalla Corte di appello come, per le settimane contabili di riferimento (12- 18 gennaio 2011; 11-17 maggio 2011).
Per motivazione contenuta in un ambito di non manifesta illogicità non toccata, nel suo portato, dal proposto ricorso, i giudici della Corte di appello hanno modo valorizzato come, per le settimane contabili di riferimento, l'importo dovuto fosse rimasto insoluto per un rilevante lasso di tempo, quest'ultimo congruamente stimato nel rapporto tra termine di adempimento, inosservato, ed epoca di operato pagamento.
Congruamente la Corte territoriale rileva come il pagamento tardivo venne eseguito infatti dal prevenuto all'esito di due atti formali d'intimazione, comprensivi di sanzioni, da parte dell'ente impositore che univocamente segnano il termine di decorso ed integrazione di un ritardo rilevante ai contestati fini appropriativi.
Siffatta condotta esclude, come stimato dai giudici di appello con motivazione non manifestamente illogica e quindi non scrutinabile, sia la ravvisabilità di un mero inadempimento sia, ancora, il carattere non doloso della condotta.
Allorchè infatti l'incaricato di pubblico servizio che abbia in tale veste il possesso di denaro pubblico si sia trovato a versare con ritardo quanto ha ricevuto per conto della pubblica amministrazione, egli per ciò stesso non solo è inadempiente all'obbligo di consegnare il denaro alla P.A., legittima proprietaria, ma sottraendo la "res" alla disponibilità di quest'ultima, egli integra altresì con la sua condotta l'appropriazione sanzionata dall'art. 314 cod. pen., per operata interversione del titolo di possesso (Sez. 6, n. 10020 del 03/10/1996, Provisani, Rv. 206364).

Il denaro consegnato al concessionario in quanto rappresentante della P.A. entra infatti immediatamente a far parte del patrimonio di quest'ultima, con contestuale insorgenza di un debito pecuniario dell'incaricato nei confronti dell'Amministrazione (Sez. 6, n. 18161 del 05/04/2012, Bevilacqua, Rv. 252639) e comporta l'immediata configurabilità dell'indicato possesso appropriativo ove non prontamente restituito all'esito di richieste univocamente dirette a segnare le rispettive posizioni delle parti.

5. Il ricorso è, in via conclusiva, inammissibilmente proposto.
All'adottata decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende, in ragione dei profili di colpa connessi alla coltivata iniziativa giudiziaria.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2016.
Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2016.


 

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