Civile Ord. Sez. 6 Num. 13975 Anno 2017
Presidente: SCALDAFERRI ANDREA
Relatore: FERRO MASSIMO
Data pubblicazione: 05/06/2017

ORDINANZA
Sul ricorso proposto da:
Ali Parvaiz rapp. e dif. dall'avv. Pietro Sgarbi, elett. dom. presso lo studio dell'avv. Andrea Sciarrillo in Roma, via Federico Cesi n. 72, come da procura in calce all'atto
-ricorrente -
Contro
Ministero dell'Interno in persona del Ministro p.t., costituito al solo fine del deposito del fascicolo e della partecipazione al procedimento, con Avvocatura dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n.12 è elett. dom
-resistente
per la cassazione della sentenza della Corte di Appello Ancona 11.5.2016, n. 572/2016 in R.G. 645/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2017 dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;
vista la memoria del ricorrente;
visto il parere del P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott. Luisa De Renzis che ha concluso per l'inammissibilità o il rigetto del ricorso principale.

Svolgimento del processo

Rilevato che:
1. Ali Parvaiz impugna la sentenza della Corte di Appello Ancona 11.5.2016, n. 572/2016 in R.G. 645/2015, con cui è stato respinto il suo appello presentato avverso il diniego di riconoscimento della protezione internazionale, avendo ritenuto, prima la Commissione Territoriale e poi il Tribunale, sussistere incongruenze e lacune che rendevano il racconto reso dal ricorrente in sede di audizione poco credibile - elementi considerati unitamente alle carenze a livello probatorio - così da non potersi ritenere comprovate neanche le circostanze che dovrebbero giustificare il riconoscimento dello status di rifugiato politico o la protezione sussidiaria;
2. in particolare, la corte ha negato di poter riconoscere la protezione internazionale, non desumendosi le relative condizioni, nonostante l'attenuato onere probatorio, da riferimenti generici a situazioni presenti nel paese di provenienza del ricorrente, non accompagnati da elementi che consentano un ragionevole collegamento alle vicende personali dello stesso;
3. secondo la corte i presupposti negativi per il riconoscimento dello status di rifugiato non sussistevano, per difetto di dettagliata prova del clima persecutorio collegabile alla vicenda individuale e come tali, non essendo emerso che il ricorrente non può o non vuole fare ritorno al proprio paese per il fondato timore di una persecuzione per l'appartenenza ad etnia, credo politico ovvero per le proprie credenze;
4. nemmeno era evidente la possibilità di dar corso alla protezione sussidiaria, mancando a propria volta la prova del rischio effettivo che il ricorrente subisca un grave danno ai sensi dell'art.14 lett. a) e b) d.lgs. n. 251/2007 nella regione di provenienza (Pakistan);
5. la corte, infine, ha statuito che non fosse possibile concedere il permesso di soggiorno per seri motivi umanitari, non essendo state allegate - anche per la non credibilità del racconto del ricorrente - specifiche situazioni soggettive tali da integrare lesioni di diritti umani di particolare entità idonei a giustificarne il riconoscimento; pari motivazione sorreggeva l'insussistenza dei presupposti per la concessione del diritto d'asilo;

6. con un unico motivo si deduce violazione ovvero falsa applicazione degli artt. 1 Convenzione di Ginevra del 28.7.1951, 2, lett. e), 3, 4, 7, 14, 16 e 17 d.lgs. 251/2007, 8 d.lgs. 25/2008, 10 Cost., 32, co. 3, d.lgs. 25/2008 in relazione all'art. 5, co. 6, d.lgs. 286/1998, e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in quanto non sarebbe stata valutata la posizione personale del ricorrente alla luce della situazione generale presente in Pakistan.

Motivazione

Considerato che:
1. il ricorso è inammissibile, già considerando la genericità della sua formulazione: infatti, al di là della invocazione della violazione di legge, la censura d'esordio e che comunque sorregge il motivo, si duole di un contraddittorio o insufficiente apparato argomentativo della sentenza, dunque riferendosi ad un sostanziale vizio di motivazione;

2. in tema, va ricordato che «requisito essenziale per il riconoscimento dello "status" di rifugiato è il fondato timore di persecuzione "personale e diretta" nel Paese d'origine del richiedente, a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell'appartenenza ad un gruppo sociale ovvero per le opinioni politiche professate. Il relativo onere probatorio - che riceve un'attenuazione in funzione dell'intensità della persecuzione - incombe sull'istante, per il quale è tuttavia sufficiente dimostrare, anche in via indiziarla, la "credibilità" dei fatti allegati, i quali, peraltro, devono avere carattere di precisione, gravità e concordanza.» (Cass. 14157/2016);

3. orbene, il giudice di merito ha dato conto del mancato rispetto proprio dei parametri probatori sopra menzionati, in termini di genericità delle plurime domande di protezione, quanto ad elementi introdotti, coerenza della narrazione, tempestività dell'istanza, riscontri fattuali, né il ricorrente ha riportato in modo specifico le circostanze pretesamente disattese o mal considerate, articolandone la decisività;
4. ciò permette di dar corso al principio, come ha avuto già modo di statuire la giurisprudenza di legittimità, per cui «il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall'art. 360 cod. proc. civ., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito» (Cass. 19959/2014);

5. il motivo di ricorso per il profilo relativo all'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio è dunque inammissibile, poiché si risolve
in una censura di mero fatto, avendo la sentenza spiegato il collegamento tra situazione generale e situazione riferita al richiedente
- imposto all'art. 12 d.lgs. 19.11.2007, n.251 - come privo di doverosa ricostruibilità probatoria; ne consegue che a tale doglianza si deve opporre il principio per cui «in tema di ricorso per cassazione, dopo la modifica dell'art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ. ad opera dell'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell'essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili.» (Cass. 12928/2014).

Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
Nessuna pronuncia viene resa quanto alle spese, non avendo spiegato il Ministero tempestive difese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1- quater, D.P.R. 115/02, come modificato dalla 1. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del co. 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16 maggio 2017.
Depositata in segreteria il 5.06.2017


 

Collabora con DirittoItaliano.com

Vuoi pubblicare i tuoi articoli su DirittoItaliano?

Condividi i tuoi articoli, entra a far parte della nostra redazione.

Copyright © 2020 DirittoItaliano.com, Tutti i diritti riservati.