ILTRIBUNALE CIVILE DI VITERBO
UFFICIO DEL GIUDICE DEL LAVORO
Il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel procedimento n. 337 del Ruolo Generale per gli affari contenziosi di lavoro dell'anno 2016,
vertente tra
O. V. – con l'Avv. Lorenzo Mosca, e
___________ – con gli Avv.ti _______),
a scioglimento della riserva assunta in data 9.6.2016

Svolgimento del processo

premesso
che con ricorso depositato in data 10.3.2016 O. V. ha agito in giudizio chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni ““1. accertare e dichiarare, anche eventualmente in via incidentale, la verità dei fatti esposti in narrativa; 2. accertare e dichiarare, anche eventualmente in via incidentale, la natura discriminatoria e/o ritorsiva, ovvero la inesistenza, nullità, annullabilità, illegittimità, inefficacia e/o ingiustificatezza anche manifesta, del licenziamento comminato anche per motivo illecito al ricorrente il 30.9-1.10/15, per tutti o parte dei motivi di cui al presente ricorso, e, per l’effetto, accertato e dichiarato che l’ultima retribuzione che il ricorrente avrebbe dovuto percepire è pari ad € 5.618,40 ovvero a quella maggiore o minore somma che si riterrà dovuta, condannare la _______, in persona del suo legale rapp.te pro tempore, alla: - reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro, con la qualifica e le mansioni a lui spettanti, con conseguente condanna della parte resistente al risarcimento del danno subito dal lavoratore, nella misura e con le conseguenze di cui all’art. 18, commi 1, 2 e 3 della Legge n. 300/70, e quindi al pagamento in favore della ricorrente della retribuzione, contribuzione ed ogni altro emolumento e/o indennità commisurata alla ultima retribuzione globale di fatto, dal giorno dell’illegittimo licenziamento sino alla data della effettiva reintegra nel posto di lavoro, in misura comunque non inferiore alle 5 mensilità, ovvero in subordine stabilendo la diversa misura della indennità risarcitoria accessoria alla reintegrazione nelle diverse entità di cui all’art. 18, L. n. 300/70, commi 4, 6 e 7 ss., il tutto con rivalutazione ed interessi dalle singole scadenze e con ogni consequenziale pronuncia; con facoltà per il ricorrente di richiedere, in sostituzione della reintegra, un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto ex art. 18 L. n. 300/70; - o in subordine al ripristino e/o riammissione e/o ricostruzione del rapporto di lavoro già in essere, con la qualifica e le mansioni a lui spettanti, oltre al pagamento di una indennità pari a tutte le retribuzioni perdute dal giorno dell’illegittimo licenziamento e sino alla riammissione in servizio, a titolo retributivo e/o risarcitorio e/o titolo di ristoro del danno arrecato con l’illegittimo comportamento datoriale ed il mancato ripristino del rapporto di lavoro; - o in ulteriore subordine, ai sensi e per gli effetti dell’art. 18, L. n. 300/70, commi 5, 6 e 7, dichiarare il risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento scritto con conseguente condanna dalla parte resistente (come sopra individuata) al risarcimento del danno subito dal lavoratore, e quindi al pagamento in suo favore della retribuzione, contribuzione ed ogni altro emolumento e/o indennità liquidando a tal fine un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto ovvero in subordine stabilendo la diversa misura della indennità
risarcitoria nelle diverse entità di cui all’art. 18, L. n. 300/70, commi 5, 6 e 7; il tutto con rivalutazione ed interessi dalle singole scadenze e con ogni consequenziale pronuncia. c) con vittoria di spese competenze ed onorari di lite"; che a sostegno della domanda ha esposto di aver prestato attività lavorativa per la Provincia Italiana svolgendo mansioni di direttore del personale presso la Casa di Cura V. R. dal 1.8.1989; che nel corso dei primi 12 anni del rapporto gli era stato di fatto impedito di svolgere l'attività lavorativa essendo stato vittima di tre licenziamenti ed due trasferimenti illegittimi che
erano stati tutti oggetto di impugnazione e di annullamento ad opera dell'A.G.; che in data 24.9.2003 aveva infine concluso un accordo conciliativo in ragione del quale gli era stato riconosciuto il ruolo di Responsabile dell'Ufficio Formazione e Qualità; che in data 31.3.2006 gli era stato conferito l'incarico di Responsabile Risorse Umane con delega alla Formazione; di aver da allora ricoperto simultaneamente due incarichi di vertice e funzioni di supplenza del Direttore Generale; che tuttavia, da dicembre 2012, con la nomina del nuovo Direttore Generale, il Dott. S., era stato nuovamente vittima di comportamenti "mobbizzanti", con progressivo isolamento lavorativo e svuotamento delle mansioni; che in particolare sempre più frequenti erano state le ingerenze nel proprio settore del neo nominato Direttore Infermieristico Provinciale
Dott. E. F.; che dopo un periodo i assenza per malattia era stato dapprima posto in ferie forzose per più di quattro mesi e, al rientro, trasferito in un ufficio di modeste dimensioni; che in data 15.12.2014 era stato immotivatamente sostituito nell'incarico dal Dott. F. C., venendo al contempo nominato Responsabile presso l'Ufficio Qualità; che da quel momento la sua attività era stata limitata alla trasmissione di dati e documenti al Dott. C. al fine di facilitare il passaggio di consegne dell'Ufficio Risorse Umane; che il suddetto mutamento di funzioni era stato oggetto di impugnazione in data 2.4.2015; che in data 30.9/1.10.2015 era stato infine licenziato con esonero dal periodo di preavviso nell'ambito di una procedura di licenziamento collettivo, per soppressione del posto lavorativo ed accorpamento della relativa funzione in capo all'Ufficio Affari Generali e Legali; che la suddetta procedura di licenziamento era conclusa nel gennaio 2016 con il licenziamento di 11 dipendenti in luogo dei 75 dichiarati in esubero; che in pendenza della procedura l'azienda aveva provveduto ad assumere altro personale a tempo determinato o a partita iva.

Tutto ciò premesso ha dedotto la natura illecita, ritorsiva e discriminatoria del licenziamento, nonché la violazione dei criteri di scelta di cui all'art. 5 della L. 223/91. Sotto quest'ultimo profilo ha dedotto che l'individuazione dei lavoratori da licenziare sarebbe dovuta avvenire nell'ambito dei macrosettori di appartenenza e non all'interno delle singole unità organizzative essendo stato identificato per la risorsa avendo la resistente; che all'interno dell'area amministrativa ed impiegatizia e tra i responsabili di funzione nel cui ambito era stato individuato l'esubero, vi erano dipendenti con minore anzianità di servizio e minori carichi di famiglia; che il ricorrente era stato appena trasferito all'ufficio che era stato oggetto di soppressione e accorpamento. Ha inoltre lamentato la violazione dell'obbligo di repechage e degli obblighi di trasparenza, nonché l'insussistenza del giustificato motivo oggettivo. Sulla scorta di tali argomentazioni ha quindi formulato le conclusioni di cui in premessa;

che la ________ si è costituita chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "voglia l’Ill.mo Tribunale adito, respinta ogni contraria istanza, eccezione e difesa, previ gli accertamenti e le declaratorie del caso, così giudicare. 1) In via preliminare. Per tutte le ragioni esposte in atti: - accertare e dichiarare l’inammissibilità e/o nullità e/o improcedibilità delle singole domande formulate nel Ricorso indicate e contestate nel paragrafo 1, in diritto, presente memoria, con l’adozione dei più opportuni provvedimenti conseguenti come per legge; - in ogni caso ordinare la riunione del procedimento incardinato presso il Tribunale di Viterbo al numero di R.G. 1924/15 ai sensi dell’art. 414 c.p.c. con quello per cui oggi vi è causa; - in subordine, nella denegata ipotesi in cui l’Ill.mo Giudice ritenga di non voler procedere alla riunione, si chiede di procedere alla sospensione dell’odierno procedimento sino alla definizione del procedimento, precedentemente incardinato presso il Tribunale di Viterbo al numero di R.G. 1924/15. 2) In via principale, nel merito. Nella denegata ipotesi in cui l’Ill.mo Giudice Adito non dovesse accogliere, anche soltanto in parte, le eccezioni preliminari sopra esposte, in ogni caso, per tutte le ragioni esposte in atti: - respingere le domande tutte, di accertamento e di condanna, formulate dal Ricorrente e volte ad ottenere, in particolare: (i) l’accertamento e la dichiarazione della illiceità dei comportamenti posti in essere dalla Provincia;
(ii) l’accertamento e la dichiarazione del diritto del Ricorrente alla reintegra, nonché alla conseguente condanna della parte Resistente al risarcimento del danno subito dal lavoratore, nella misura e con le conseguenze di cui all’art. 18, commi 1, 2 e 3 della L. n. 300/70 ovvero alla domanda avanzata in subordine, relativa alla diversa misura della indennità risarcitoria accessoria alla reintegrazione nella diversa entità di cui all’art. 18 L. n. 300/70, commi 4, 6 e 7 s.s, nonché le connesse domande relative alla rivalutazione ed interessi dalle singole scadenze ed ogni consequenziale pronuncia; (iii) l’accertamento in subordine al ripristino e/o riammissione e/o ricostruzione del rapporto di lavoro già in essere, oltre al pagamento della indennità pari a tutte le retribuzioni perdute dal giorno del licenziamento sino alla riammissione in servizio; (iv) l’accertamento in ulteriore subordine ai sensi e per gli effetti dell’art. 18 della L. n. 300/70, commi 5, 6 e 7, volto a dichiarare risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento scritto con conseguente condanna della parte Resistente al risarcimento del danno subito dal lavoratore, e quindi al pagamento in suo favore della retribuzione, contribuzione e ogni altro emolumento e/o indennità liquidando a tal fine un’indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici ed un massimo di ventiquattro mensilità, ovvero le ulteriori somme richieste in subordine,
nonché le connesse domande relative alla rivalutazione ed interessi dalle singole scadenze ed ogni consequenziale pronuncia; (v) nonché l’accertamento e la dichiarazione di illiceità dei comportamenti posti in essere dalla Provincia e che il Ricorrente è stato illegittimamente fatto oggetto di una condotta vessatoria, persecutoria e da parte della Resistente con ogni domanda conseguente. 3) In via subordinata, nel merito. - nella denegata e non creduta ipotesi in cui il Giudice accolga le conclusioni ex adverso articolate, alla luce di quanto esposto in narrativa, voglia limitare le indennità risarcitorie richieste ai sensi dell’art. 18, L. n. 300/70 nella misura minima prevista dalla legge. 4) In ogni caso. - rigettare le domande tutte del Ricorrente dirette ad ottenere la condanna della Provincia al pagamento di spese di lite, diritti ed onorari, rivalutazione monetaria ed interessi così come indicati in atti. …";

in fatto ha preliminarmente fornito una descrizione dettagliata e puntuale della struttura organizzativa della Provincia e di V. R. in particolare, nonché delle figure professionali ivi operanti e delle rispettive funzioni e mansioni; ha di seguito descritto le singole fasi del rapporto di lavoro contestando le deduzioni attoree in merito al lamentato isolamento lavorativo, al presunto
svuotamento di mansioni e ai denunciati carichi di lavoro; ha invece rammentato come durante le prolungate assenze del ricorrente tra il mese di luglio 2013 e quello di aprile 2014 il Dott. F., chiamato a sostituirlo delle funzioni di Responsabile delle RU, avesse riscontrato le lacune del ricorrente nella utilizzazione del sistema informatico di rilevazione delle presenze
e nella gestione del personale (ore lavorate, gestione banca ore. attribuzione ferie, riconoscimento benefici legge 104/92 e tenuta dei fascicoli personali) che avevano giustificato l'avvio di un procedimento disciplinare all'esito del quale V. R. aveva ritenuto di non irrogare alcuna sanzione. Di seguito la resistente ha rammentato le ragioni che avevano indotto la Provincia ad avviare le due procedure di licenziamento; ne ha quindi descritto lo sviluppo e le fasi salienti rammentando che il licenziamento del ricorrente era stato attuato in ragione della soppressione dell'Ufficio Qualità ed il suo accorpamento nell'Ufficio Affari Generali e Legali. In merito ai criteri di scelta ha sottolineato che tra gli impiegati di secondo livello il ricorrente risultava avere carichi di famiglia corrispondenti ad altri due dipendenti (B. e C.) ed inferiori alla collega
M., avendo a carico solo la figlia C. al 50%; che la maggiore anzianità aziendale era quella della B., mentre quella del ricorrente (dal 1.8.1989) doveva ritenersi solo virtuale avendo egli iniziato a svolgere la propria attività solo nel settembre 2003; che il criterio prevalente ai fini della individuazione del ricorrente quale destinatario del provvedimento di licenziamento, era stato quello delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative e sotto tale profilo ha sostenuto che dall'esame delle competenze professionali il medesimo era risultato inadatto allo svolgimento delle mansioni tipiche degli altri uffici di Responsabile di Funzioni, non avendo egli le competenze richieste per ricoprire gli incarichi di Responsabile Amministrazione e Responsabile Affari Legali ed essendosi dimostrato inadempiente e gravemente manchevole allorchè era
stato chiamato a ricoprire l'incarico di Responsabile RU.
Tutto ciò esposto, in diritto ha eccepito l'inammissibilità della domanda per indeterminatezza e/o illogicità quanto alla domanda subordinata da ritenersi assorbita in quella principale di reintegrazione; ha invocato la riunione del presente procedimento a quello rubricato al n. 1924/2015 pendente innanzi questo stesso Tribunale, per identità di petitum e causa petendi; ha denunciato il frazionamento delle azioni giudiziarie fondate sui medesimi fatti costitutivi ed ha chiesto valutarsi il comportamento attoreo in sede di liquidazione delle spese di lite. Nel merito ha ribadito la piena legittimità della procedura di
mobilità e del successivo licenziamento, la corretta applicazione dei criteri di scelta, l'insussistenza di un obbligo di repechage e della lamentata ipotesi di discriminazione o ritorsione; ha in ultimo eccepito l'aliunde perceptum o percipiendum e la non applicabilità della rivalutazione monetaria;

Motivazione

tutto ciò premesso;
OSSERVA
L'istanza di riunione non può essere accolta, non solo per la parziale difformità del petitum (posto che, ove anche si ravvisasse l'esposizione di medesimi fatti, gli stessi sarebbero posti in questo procedimento a sostegno della illegittimità della estromissione nell'ambito di un procedimento di impugnazione del licenziamento e nell'altro a sostegno di un'azione risarcitoria per condotta di mobbing) ma anche per la diversità di procedura cui sono soggetti i rispettivi giudizi, lì dove la invocata riunione frusterebbe le ragioni di speditezza e celerità proprie del cd. Rito Fornero. Va al riguardo solo aggiunto che una identità di petitum tra i due giudizi andrebbe in linea di principio esclusa non potendosi rivendicare la tutela reintegratoria nell'ambito di un ordinario giudizio ex art. 414 c.p.c.

Nel merito il ricorso è fondato quanto meno sotto il profilo della violazione dei criteri di scelta.
Nessun dubbio che delle esigenze tecnico organizzative di cui all'art. 5 L. 223/91 occorresse fare applicazione, non solo ai fini della individuazione dell'ambito aziendale sul quale intervenire, ma anche nella selezione del personale da licenziare (Sez. L, Sentenza n. 1938 del 27/01/2011 rv. 615893).
Nella sua duplice accezione e finalità, il criterio in esame assume infatti ruoli e significati diversi: in un caso esso coincide con le esigenze aziendali di riduzione del personale sulla cui base si individuano le situazione di esubero e si determinano le scelte di riorganizzazione aziendale; nell'altro esso di identifica con l'interesse, quanto meno comune tanto all'azienda quanto al dipendente, a che la selezione sia operata conservano nei suoli non solo i dipendenti più anziani e con maggiori carichi di famiglia, ma anche quelli con maggiore professionalità, competenze e fungibilità. Il concetto risulta molto ben chiarito in Sez. L, Sentenza n. 26376 del 03/11/2008 (Rv. 605355): "La giurisprudenza della Corte ha precisato più volte che, in caso di licenziamento collettivo per riduzione del personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva o ad uno specifico settore dell'azienda, la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità, non deve necessariamente interessare l'intera azienda, ma può avvenire, secondo una legittima scelta dell'imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico - produttive, nell'ambito della singola unità produttiva, ovvero del settore interessato alla ristrutturazione, in quanto ciò non è il frutto di una determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma è obiettivamente giustificato dalle esigenze organizzative che hanno dato luogo alla riduzione di personale (Cass. 15 giugno 2006, n. 13783; 19 maggio 2005, n. 10590; 9 settembre 2003, n. 13182; 26 settembre 2000 n. 12711; 10 giugno 1999 n. 5718; 18 novembre 1997 n. 11465).

Le ragioni che hanno condotto all'enunciazione del detto principio sono le seguenti.
La prima parte dell'art. 5, dispone che "l'individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico produttive ed organizzative del complesso aziendale". Dunque, in via preliminare, la delimitazione del personale "a rischio" si opera in relazione a quelle esigenze tecnico produttive ed organizzative che sono state enunciate dal datore con la comunicazione di cui al terzo comma dell'art. 4; è ovvio che, essendo la riduzione di personale conseguente alla scelta del datore sulla dimensione quantitativamente e qualitativamente ottimale dell'impresa per addivenire al suo risanamento, dalla medesima scelta non si può prescindere quando si voglia determinare la platea del personale da selezionare. Ma va attribuito il debito rilievo anche alla previsione testuale della norma secondo cui le medesime esigenze tecnico produttive devono essere riferite al "complesso aziendale"; ciò in forza dell'esigenza di ampliare al massimo l'area in cui operare la scelta, onde approntare idonee garanzie contro il pericolo di discriminazioni a danno del singolo lavoratore, in cui tanto più facilmente si può incorrere quanto più si restringe l'ambito della selezione. D'altra parte, sarebbe incongruo che questo ambito venisse già predeterminato dalla legge, perché ciò varrebbe indebitamente a presupporre una assoluta e generalizzata incomunicabilità tra parti o settori dell'impresa. Se tale è il contesto, si arguisce facilmente che non vi è spazio per una restrizione all'ambito di applicazione dei criteri di scelta che sia frutto della iniziativa datoriale pura e semplice, perché, come già detto, ciò finirebbe nella sostanza con l'alterare la corretta applicazione dei criteri stessi, che la L. n. 223 del 1991, art. 5, intende espressamente sottrarre al datore, imponendo che questa venga effettuata o sulla base dei criteri concordati con le associazioni sindacali, ovvero, in mancanza, secondo i criteri legali. E dunque arbitraria e quindi illegittima ogni decisione del datore diretta a limitare l'ambito di selezione ad un singolo settore o ad un reparto, se ciò non sia strettamente giustificato dalle ragioni che hanno condotto alla scelta di riduzione del personale.
La delimitazione dell'ambito di applicazione dei criteri dei lavoratori da porre in mobilità è dunque consentita solo quando dipenda dalle ragioni produttive ed organizzative, che si traggono dalle indicazioni contenute nella comunicazione di cui all'art. 4, comma 3, quando cioè gli esposti motivi dell'esubero, le ragioni per cui lo stesso non può essere assorbito, conducono coerentemente a limitare la platea dei lavoratori oggetto della scelta. Per converso, non si può, invece, riconoscere, in tutti i casi, una necessaria corrispondenza tra il dato relativo alla "collocazione del personale" indicato dal datore nella comunicazione di cui all'art. 4, e la precostituzione dell'area di scelta. Il datore infatti segnala la collocazione del personale da espungere (reparto, settore produttivo ecc), ma ciò non comporta automaticamente che l'applicazione dei criteri di scelta coincida sempre con il medesimo ambito e che i lavoratori interessati siano sempre esclusi dal concorso con tutti gli altri, giacché ogni delimitazione dell'area di scelta è soggetta alla verifica giudiziale sulla ricorrenza delle esigenze tecnico produttive ed organizzative che la giustificano.
A mero titolo esemplificativo, si può rilevare che ove il datore, nella comunicazione di cui all'art. 4, indicasse che tutto il personale in esubero è collocato all'interno di un unico reparto, essendo solo questo oggetto di soppressione o di ristrutturazione, non sarebbe giustificato limitare l'ambito di applicazione dei criteri di scelta a quegli stessi lavoratori nel caso in cui svolgessero mansioni assolutamente identiche a quelle ordinariamente svolte anche in altri reparti, salva la dimostrazione di ulteriori ragioni tecnico produttive ed organizzative comportanti la limitazione della selezione. Ed ancora, quando la riduzione del personale fosse necessitata dall'esistenza di una crisi che induca alla riduzione, genericamente, dei costi, non vi sarebbe, quanto meno in via teorica, alcun motivo di limitare la scelta ad uno dei settori dell'impresa, e quindi la selezione andrebbe operata in relazione al complesso aziendale. Con il che si può spiegare, nell'art. 5 citato, la duplicità - altrimenti scarsamente comprensibile - del richiamo alle "esigenze tecnico-produttive ed organizzative", perché, nella prima parte, esse si riferiscono all'ambito di selezione, mentre, nella seconda parte, le medesime esigenze concorrono poi nel momento successivo, con gli altri criteri dell'età e del carico di famiglia, alla individuazione del singolo lavoratore (salvo che
non operino altri criteri concordati con i sindacati)".

Nel caso di specie la convenuta aveva ravvisato uno degli esuberi nelle "attività di supporto a carattere meramente amministrativo" ed in particolare in una delle quattro posizioni di Responsabile di Funzioni esistenti all'interno dell'Area "Amministrazione"; nell'ambito della riorganizzazione aziendale aveva inoltre ritenuto di poter sopprimere l'Ufficio Qualità con il maggior risparmio economico ed il minore impatto sulla funzionalità ed efficienza della struttura organizzativa.
E' incontestabile che in applicazione dei suesposti principi e della autonomia imprenditoriale, fosse del tutto legittima l'individuazione dell'Ufficio Qualità come quello destinato alla soppressione e all'accorpamento. Ai fini della individuazione dell'unità da licenziare la resistente era tuttavia chiamata a dare piena attuazione ai criteri legali di cui all'art. 5 L. 223/91 operando la comparazione tra le quattro figure di Responsabili Funzionali esistenti e segnatamente:
la sig.ra R. B., Responsabile Affari Legali
la sig.ra F. M., Responsabile Amministrazione e Finanza
il ricorrente V. O., Responsabile Qualità e
il sig. F. C., Responsabile Risorse Umane.
Ebbene, anche volendo riconoscere a carico del ricorrente una sola figlia al 50%, non v'è dubbio che in applicazione dei criteri dell'anzianità di servizio egli dovesse essere preferito tanto alla collega F. M. quanto al collega C., presentando una situazione del tutto corrispondente a quest'ultimo per carichi di famiglia. Si aggiunga che, anche applicando il criterio – assolutamente.non condivisibile – proposto dalla resistente, di attribuire l'anzianità professionale in funzione dell'attività lavorativa effettivamente prestata dal ricorrente (che in ragione delle controversie giudiziarie aveva avuto inizio di fatto solo a settembre 2003) le conclusioni non muterebbero, avendo il collega C. iniziato ad operare solo dall'aprile 2004.

Sotto il profilo delle esigenze tecnico-produttive non può non riconoscersi al ricorrente la piena utilizzabilità nelle funzioni da ultimo ricoperte dal collega C., avendo quest'ultimo sostituito il ricorrente proprio nell'incarico di Responsabile Risorse Umane. Di qui l'assoluta fungibilità dell'O. e la sua piena comparabilità al collega C. che a parità di inquadramento (2° livello)
presentava pari carichi di famiglia e minore anzianità di servizio.
Non possono essere d'altro canto condivise le argomentazioni con cui parte resistente ha inteso sostenere l'inadeguatezza del ricorrente a ricoprire i ruoli dei restanti "Responsabili di Funzione".

A tal proposito va rammentato che i criteri di selezione dei dipendenti da licenziare, siano essi quelli concordati con le organizzazioni sindacali o quelli individuati dalla legge, "devono essere, tutti ed integralmente, basati su elementi oggettivi e verificabili, in modo da consentire la formazione di una graduatoria rigida e da essere controllabili in fase applicativa, e non possono implicare valutazioni di carattere discrezionale, neanche sotto forma di possibile deroga all'applicazione di criteri in sé oggettivi" (Sez. L, Sentenza n. 12544 del 09/06/2011 rv. 617383). Nell'applicazione dei suddetti criteri il datore di lavoro è quindi tenuto a individuare a priori gli elementi oggettivi da valorizzare e la rilevanza da assegnare a ciascun elemento così da consentirne la verifica giudiziale e da pervenire ad una graduatoria rigida e definitiva. In tale operazione nessuno spazio può essere riconosciuto a valutazioni di carattere soggettivo e discrezionale, non potendo esse incidere sulla formazione della graduatoria. Ebbene, nel caso in esame, parte resistente non aveva individuato gli elementi da valorizzare sotto il profilo delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative. Ha tuttavia inteso posporre il ricorrente nella ipotetica graduatoria dei Responsabili di Funzione, in ragione di una presunta inidoneità attestata da pregressi rilievi disciplinari. Sennonché ha in primo luogo taciuto la situazione degli altri dipendenti oggetto di comparazione, omettendo di riferire se a loro carico esistessero o meno situazioni comparabili: ciò a dimostrazione dell'applicazione non uniforme del criterio in esame. Ma soprattutto non può non osservarsi come i rilievi mossi al ricorrente, sebbene formalizzati in apposite contestazione, non avessero mai condotto alla irrogazione di alcuna sanzione, la cui fondatezza avrebbe potuto essere oggetto di verifica giurisdizionale.

Il giudizio di inidoneità appare conseguentemente legato ad una valutazione del tutto soggettiva delle sue capacità, disancorata dagli elementi di fatto concreti ed oggettivi sui quali si sarebbe dovuta operare la scelta del dipendente da licenziare. Sotto tale profilo va solo aggiunto che la mancata irrogazione di sanzioni disciplinari può costituire gesto di distensione e manifestazione di accondiscendenza nei confronti del dipendente solo quando delle presunte mancanza
non si intenda uso in modo surrettizio ad esempio, appunto, rivalutando suggestivamente la condotta che ne avrebbe giustificato l'irrogazione ai fini della selezione del personale da licenziare, costituendo altrimenti comportamento contrario a buona fede dare per assodate mancanze ed inadempimenti di cui il ricorrente non aveva potuto far accertare l'infondatezza.

Le argomentazioni esposte inducono e ritenere illegittimo il procedimento seguito dalla resistente nell'applicazione dei criteri di selezione, avendo inteso ella giustificarne il licenziamento all'esito della comparazione con gli altri Responsabili di Funzione ed in particolare con il collega C. sulla scorta di un giudizio di inidoneità e di inadeguatezza fondato su elementi del tutto discrezionali, soggettivi, non verificabili e non riscontrabili come l'avvio di un procedimento disciplinare esauritosi senza l'irrogazione di alcuna sanzione.

L'illegittima applicazione dei criteri di selezione legale previsti dall'art. 5 della L. 223/91 impone l'annullamento del licenziamento: il co. 3 così come modificato dalla L. 92/2012 prevede infatti che "In caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1, si applica il regime di cui al quarto comma del medesimo articolo 18". Va conseguentemente disposta la reintegrazione del ricorrente nell'originario posto di lavoro (Responsabile di Funzione) con il medesimo inquadramento ed il medesimo trattamento economico. Al ricorrente spetta inoltre a titolo di risarcimento del danno una indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, fino a concorrenza della misura massima pari a 12 mensilità. In ragione della età anagrafica del ricorrente, dell'attuale situazione di crisi del mercato del lavoro e del relativamente breve periodo trascorso dal licenziamento, non vi sono elementi per ritenere ingiustificato il mancato reperimento e svolgimento di attività lavorative diverse medio termine, sicché l'eccezione non può essere accolta l'eccezione di compensazione a titolo di aliunde perceptum o aliunde percipiendum.
Parte resistente va conseguentemente condannata anche al versamento integrale dei contributi previdenziali e assistenziali maturati e maturandi in favore del ricorrente nel periodo dal licenziamento fino a quello della effettiva reintegra, maggiorati degli interessi nella misura legale, senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione.
Le spese di lite seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

- accogliendo il ricorso proposto da O. V. nei confronti di ________ dichiara l'illegittimità del licenziamento irrogato al ricorrente in data 30.9/1.10.2015 e ne dispone l'annullamento;
- per l'effetto ordina a _________ in persona del suo legale rappresentante p.t. di provvedere alla immediata reintegra del RICORRENTE nell'originario posto di lavoro (Responsabile di Funzione) con il medesimo inquadramento e con il pregresso trattamento economico e normativo;
- condanna altresì la ________________ in persona del legale rappresentante p.t. al risarcimento del danno derivante dall'illegittimo licenziamento mediante l'erogazione di una indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, fino a concorrenza della misura massima
pari a 12 mensilità;
- condanna la ______________ in persona del legale rappresentante p.t. alla regolarizzazione della posizione previdenziale e assistenziale del ricorrente mediante il versamento della contribuzione maturata dall'illegittimo licenziamento fino all'effettivo reintegro, maggiorata degli interessi nella misura legale;
- condanna in ultimo la ___________ in persona del legale rappresentante p.t. al pagamento delle spese processuali che si liquidano in € 3.450,00 per compensi professionali, oltre rimb. forf., IVA e CPA come per legge.
- si comunichi.
Viterbo lì, 4 luglio 2016
IL GIUDICE DEL LAVORO
Dr. Mauro IANIGRO


 

Collabora con DirittoItaliano.com

Vuoi pubblicare i tuoi articoli su DirittoItaliano?

Condividi i tuoi articoli, entra a far parte della nostra redazione.

Copyright © 2020 DirittoItaliano.com, Tutti i diritti riservati.