REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE
SEZIONE LAVORO
Il Giudice del lavoro, dott. Angelo De Angelis,
all’udienza del 25.10.2018, a seguito di discussione e udite le conclusioni delle parti, uscito dalla Camera di Consiglio, ha pronunciato con motivi contestuali la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al N. 5900/2017 R.G. Sezione Lavoro, avente ad oggetto: “controversie in materia di assistenza obbligatoria” e vertente
TRA
P. A. - avv. GIARDINA SIMONE (GRDSMN78T17F061B);
RICORRENTE
E
AGENZIA ENTRATE RISCOSSIONE - avv. M. F.;
INPS - avv. S. S.;
RESISTENTI

Motivazione

Con ricorso depositato in data 28.11.2017, l’istante come in epigrafe proponeva opposizione avverso i ruoli esattoriali incorporati in nove cartelle di pagamento emesse nei suoi confronti per contributi Inps e analiticamente riportate nell’atto introduttivo. Eccepiva, in particolare, l’omessa notifica degli atti esattoriali nonché l’intervenuta prescrizione quinquennale della pretesa contributiva.
Instauratosi il contraddittorio, si costituivano in giudizio le parti convenute, concludendo come in atti.

Preliminarmente, va ribadito che ormai non possono residuare dubbi in merito alla sussistenza dell’interesse ad agire della parte ricorrente, come rimarcato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 19074/15. Invero, secondo tale autorevole pronunzia della Corte Regolatrice, il contribuente può impugnare la cartella di pagamento della quale - a causa dell'invalidità della relativa notifica - sia venuto a conoscenza solo attraverso un estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario della riscossione; a ciò non osta l'ultima parte del comma 3 dell'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto una lettura costituzionalmente orientata impone di ritenere che l'impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato - impugnabilità prevista da tale norma - non costituisca l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque venuto legittimamente a conoscenza e quindi non escluda la possibilità di far valere l'invalidità stessa anche prima, giacché l'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può essere compresso, ritardato, reso più difficile o gravoso, ove non ricorra la stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo, rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione (cfr. Cass. 19704/15).
In particolare, Le Sezioni Unite muovono proprio dalla differenza sostanziale che separa “ruolo” (atto amministrativo impositivo fiscale, contributivo o di altre entrate proprio ed esclusivo dell'ufficio competente, ovvero dell'ente creditore impositore, che, siccome espressamente previsto e regolamentato da norme legislative primarie, deve ritenersi tipico sia quanto alla forma che quanto al contenuto sostanziale) ed “estratto di ruolo” (formato, quindi consegnato, soltanto su richiesta del debitore e che costituisce semplicemente un elaborato informatico formato dell'esattore sostanzialmente contenente gli elementi della cartella): il primo impugnabile quale atto tipico impositivo; il secondo non impugnabile quale mero documento privo di valenza impositiva.

Dell’estratto di ruolo – emesso, si ripete, dal concessionario della riscossione su istanza del contribuente – le Sezioni Unite hanno rilevato l’idoneità a render edotto il contribuente dell’iscrizione a ruolo e dell’emissione della cartella di pagamento ove la notifica di quest’ultima sia stata omessa o invalida. In altri termini, partendo dalla premessa che la nullità della cartella non comporta necessariamente quella del ruolo mentre la nullità del ruolo determina necessariamente la nullità anche della cartella, questa essendo giuridicamente fondata su quel ruolo e, pertanto, dipendente dallo stesso, l’estratto di ruolo, in quanto mero documento informativo che non contiene in sé alcuna pretesa impositiva, diretta o indiretta, non è atto impugnabile in quanto tale (non avendo senso l’eliminazione dal mondo giuridico del solo documento senza incidere su quanto in esso rappresentato), ma può attivare l’impugnabilità in funzione recuperatoria, legittimando il contribuente ad impugnare la cartella della quale non abbia avuto conoscenza per difetto di notifica.

In definitiva sul punto, al di là di ogni formale qualificazione, parte ricorrente, a ben vedere, si duole della invalida notificazione della cartella (e quindi anche del ruolo, posto che la sua notificazione coincide con quella della cartella ex art. 21 d.lgs. n. 546/92) e di questo atto - non del documento rilasciatogli dal concessionario - ha chiesto, chiaramente, l'annullamento. Ne consegue che la cartella palesatasi al contribuente solo mediante l’estratto di ruolo può essere fatta oggetto di impugnazione immediata – senza necessità di attendere, cioè, la notifica di un ulteriore atto della sequenza esattoriale –, giacché la facoltà di impugnazione differita ex art. 19, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992 non potrebbe trasformarsi in onere senza vulnerare il diritto del contribuente all’effettività della tutela giurisdizionale. Sotto quest’ultimo aspetto, condivisibilmente il giudice di legittimità, con la citata sentenza a S.U., ha affermato che l'impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato ivi prevista non costituisca l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto del quale il destinatario sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la facoltà del medesimo di far valere, appena avutane conoscenza, la suddetta invalidità che, impedendo la conoscenza dell'atto e quindi la relativa impugnazione, ha prodotto l'avanzamento del procedimento di imposizione e riscossione, con relativo interesse del contribuente a contrastarlo il più tempestivamente possibile, specie nell'ipotesi in cui il danno potrebbe divenire in certa misura non più reversibile se non in termini risarcitori.

Venendo al caso che qui occupa, ragioni di ordine logico-giuridico impongono la trattazione prioritaria della eccezione di prescrizione dei titoli contributivi incorporati negli atti esattoriali impugnati, la quale, nella materia in esame, è finanche rilevabile di ufficio. Invero, nella materia previdenziale, a differenza che in quella civile, il regime della prescrizione già maturata è sottratto, ai sensi dell'art. 3, comma 9, della legge 8 agosto 1995, n. 335, alla disponibilità delle parti anche per le contribuzioni relative a periodi precedenti l'entrata in vigore della nuova normativa e con riferimento a qualsiasi forma di previdenza obbligatoria. Ne consegue che, una volta esaurito il termine, la prescrizione ha efficacia estintiva (non già preclusiva) - poiché l'ente previdenziale creditore non può rinunziarvi -, opera di diritto ed è rilevabile d'ufficio, senza che l'assicurato abbia diritto a versare contributi previdenziali prescritti. Né rileva l'eventuale inerzia dell’istituto nel provvedere al recupero delle somme corrispondenti alle contribuzioni, poiché il credito contributivo ha una sua autonoma esistenza, che prescinde dalla richiesta di adempimento avanzata dall'ente previdenziale, ed insorge nello stesso momento in cui si perfeziona il rapporto (o, comunque, l'attività) di lavoro, che ne costituisce il presupposto, e da cui decorre il termine prescrizionale dello stesso credito contributivo (Cass. 21830/14; Cass. 6340/05).

Orbene, a parere del decidente e secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, la cartella esattoriale non opposta, anche se irrevocabile, non è equiparabile a un titolo giudiziale e quindi è inidonea a determinare la decennalità della prescrizione ex art. 2953 cc (cd. actio iudicati).
Sul punto, anche se non mancano pronunzie in senso contrario, appare condivisibile la tesi secondo cui l'ingiunzione fiscale, in quanto espressione del potere di auto-accertamento e di autotutela della P.A., ha natura di atto amministrativo che cumula in sé le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto, ma è priva di attitudine ad acquistare efficacia di giudicato: la decorrenza del termine per l'opposizione, infatti, pur determinando la decadenza dall'impugnazione, non produce effetti di ordine processuale, ma solo l'effetto sostanziale dell'irretrattabilità del credito (qualunque ne sia la fonte, di diritto pubblico o di diritto privato), con la conseguente inapplicabilità dell'art. 2953 cod. civ. ai fini della prescrizione (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 12263 del 25/05/2007).
Le Sez. U, con sentenza n. 25790 del 10/12/2009, hanno ribadito che il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie, derivante da sentenza passata in giudicato, si prescrive entro il termine di dieci anni, per diretta applicazione dell'art. 2953 cod. civ., che disciplina specificamente ed in via generale la cosiddetta "actio iudicati", mentre, se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile vale il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dall'art. 20 del d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, atteso che il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l'obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni non può che essere di tipo unitario (cfr. altresì, in termini analoghi, Cass. 6077/10 e Cass. 5837/11).
In definitiva, l’art. 2953 cc - che è norma speciale - non può applicarsi in via analogica ad altre fattispecie diverse dai provvedimenti giurisdizionali, con la conseguente inapplicabilità dell’art. 12 delle preleggi al cc e che, nel caso di cartella di pagamento non opposta, non vi è nessun titolo di formazione giudiziale dotato di autonomia, non potendo la stabilità della cartella non opposta nei 40 gg. equipararsi a un giudicato. Di contro, dato che l’art. 2946 cc prescrive che la prescrizione è quella ordinaria decennale se la legge non dispone in senso contrario, nel caso dei contributi previdenziali è appunto la legge che dispone diversamente ai sensi dell’art. 3 comma 9 della l. 335/95.
Più di recente, sono finalmente intervenute le S.U. con sentenza 23397/16 (nello stesso senso, Cass. 18/18), che, decidendo sulla questione - definita “di massima di particolare importanza” -, hanno affermato che “la scadenza del termine - pacificamente perentorio - per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui all'art. 24, comma 5, del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche l'effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale secondo l'art. 3, commi 9 e 10, della legge n. 335 del 1995) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell'art. 2953 cod. civ. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato.
Lo stesso vale per l'avviso di addebito dell'Inps, che dal 1° gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (art. 30 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge n. 122 del 2010)”. In altri termini, per la Corte Regolatrice “è di applicazione generale il principio secondo il quale la scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma non determina anche l'effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell'art. 2953 cod. civ.
Tale principio, pertanto, si applica con riguardo a tutti gli atti - comunque denominati - di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l'opposizione, non consente di fare applicazione dell'art. 2953 cod. civ., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo”.

Le S.U., in pratica, sono convenute a tale soluzione sul presupposto che, nell'ambito della giurisprudenza della Corte, nella quale viene da sempre sottolineato che la disciplina della prescrizione è “di stretta osservanza ed è insuscettibile d'interpretazione analogica” (cfr. Cass. 15 luglio 1966, n. 1917 e Cass. 18 maggio 1971, n. 1482), è pacifico che: a) se in base all'art. 2946 cod. civ. la prescrizione ordinaria dei diritti è decennale a meno che la legge disponga diversamente, nel caso dei contributi previdenziali è appunto la legge che dispone diversamente (art. 3, comma 9, legge 335 del 1995 cit.); b) la norma dell'art. 2953 cod. civ. non può essere applicata per analogia oltre i casi in essa stabiliti (ex multis: Cass. 29 gennaio 1968, n. 285; Cass. 10 giugno 1999, n. 5710); c) la prescrizione decennale da “actio judicati”, prevista dall'art. 2953 cod. civ., decorre non dal giorno in cui sia possibile l'esecuzione della sentenza né da quello della sua pubblicazione, ma dal momento del suo passaggio in giudicato (tra le tante: Cass. 10 luglio 2014, n. 15765; Cass. 14 luglio 2004, n 13081); d) la conversione della prescrizione breve in quella decennale per effetto della formazione del titolo giudiziale ex art. 2953 cod. civ. ha il proprio fondamento esclusivo nel titolo medesimo, sicché non incide sui diritti non riconducibili a questo e, dunque, non opera per i diritti maturati in periodi successivi a quelli oggetto del giudicato di condanna (Cass. 20 marzo 2013, n. 6967; Cass. 10 giugno 1999, n. 5710 cit.); e) il generico riferimento al “diritto” per il quale sia stabilita un termine di prescrizione breve contenuto nell'art. 2953 cod. civ., consente di ritenere che laddove intervenga un giudicato di condanna (anche generica), la conversione del termine di prescrizione breve del diritto in quello decennale si estende pure ai coobbligati solidali anche se rimasti estranei al relativo giudizio (vedi, per tutte: Cass. 13 gennaio 2015, n. 286; Cass. 11 giugno 1999, n. 5762; Cass. 10 marzo 1976, n. 839; Cass. 14 aprile 1972, n. 1173; Cass. 17 giugno 1965, n. 1961; Cass. 17 agosto 1965, n. 1961; Cass. 20 ottobre 1964, n. 2633) e quest'ultimo effetto, all'evidenza, si attaglia solo ad un titolo esecutivo giudiziale. Infine, è indubbio che sia la cartella di pagamento sia gli altri titoli che legittimano la riscossione coattiva di crediti dell'Erario e/o degli Enti previdenziali e così via sono atti amministrativi privi dell'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato (vedi, tra le tante: Cass. 25 maggio 2007, n. 12263; Cass. 16 novembre 2006, n. 24449; Cass. 26 maggio 2003, n. 8335).

Va chiarito, inoltre, che la disciplina della prescrizione è governata oggi dalla legge 335/95; l’art. 3 della predetta legge ha previsto, al comma 9, che il termine decennale, ivi fissato per le contribuzioni di pertinenza del fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie, è ridotto a partire dall’1/1/96 a cinque anni. Lo stesso articolo, al comma 10, ha poi previsto che i termini di cui al comma 9 si applicano anche alle contribuzioni relative ai periodi precedenti al 17/8/95 (data di entrata in vigore della citata legge) e che non si deve tener conto della sospensione del decorso del termine fissata nell’art. 2,co.19 della legge 463/83. La stessa norma del comma 10, tuttavia, ha fatto salvi - sia ai fini della “retroattività” della disposizione dettata dal comma 9 che a quelli della “abrogazione“ della sospensione - gli effetti prodotti da atti interruttivi compiuti prima dell’entrata in vigore della legge medesima.

Ricapitolando, in materia di termini di prescrizione del diritto degli enti previdenziali ai contributi dovuti dai lavoratori e dai datori di lavoro, il disposto del comma 9 dell’art. 3 della L. 335/95 si interpreta nel senso che, per i contributi relativi a periodi successivi alla data di entrata in vigore della legge (17 agosto 1995), la prescrizione resta decennale fino al 31 dicembre 1995, mentre diviene quinquennale dal 1° gennaio 1996. Riguardo ai contributi relativi a periodi precedenti alla data di entrata in vigore della legge, ugualmente la prescrizione diviene quinquennale dal 1° gennaio 1996, ma il termine decennale permane ove, entro il 31 dicembre 1995, siano stati compiuti dall’istituto previdenziale atti interruttivi, ovvero siano iniziate, durante la vigenza della precedente disciplina, procedure per il recupero dell’evasione contributiva (Cass. Sez. Lav. 8014/06). Vale a dire, quindi, che solo se precedentemente all’entrata in vigore della predetta legge sono stati posti in essere atti interruttivi della prescrizione, si applica il vecchio termine di prescrizione di dieci anni.

Tornando al caso di specie, quand’anche la pretesa contributiva non possa più essere messa in discussione per motivi attinenti al merito (vista la decadenza di cui all’art. 24 del d.lgs. 46/99), la stessa si è comunque estinta per prescrizione. Invero, dagli atti e dallo stesso tenore del ricorso introduttivo si evince che le cartelle di pagamento de quibus sono state notificate al contribuente, al più tardi, nel marzo 2009. Ne discende che, per quanto detto innanzi, sono rimaste attinte dalla prescrizione tutte le pretese impositive contenute nelle dedotte cartelle. Né le parti resistenti hanno offerto in comunicazione degli idonei atti introduttivi (l’avviso di ricevimento del 30.11.2015 è privo dell’atto comunicato e comunque oltremodo tardivo).
In definitiva, l’opposizione deve essere accolta, con conseguente declaratoria di non debenza dei titoli contributivi iscritti nelle impugnate cartelle esattoriali in quanto estinti per intervenuta prescrizione.
Spese compensate per reciproca soccombenza, atteso che il motivo attoreo secondo cui alcuna cartella sarebbe stata notificata al ricorrente è stato del tutto sconfessato.

PQM

1) accoglie l’opposizione e, per l’effetto, dichiara non dovuti i crediti contributivi iscritti nelle impugnate cartelle esattoriali in quanto estinti per intervenuta prescrizione;
2) compensa le spese processuali.
Nocera Inferiore, 25.10.2018.
Il Giudice del lavoro
dott. Angelo De Angelis


 

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