REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Bernabai Renato - Presidente -
Dott. Didone Antonio - Consigliere -
Dott. Genovese Francesco Antonio - rel. Consigliere -
Dott. Scaldaferri Andrea - Consigliere -
Dott. Nazzicone Loredana - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24333/2013 proposto da:
Z.A., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall'avvocato Marco Parisi, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
Luisa Soc. Coop. in liquidazione, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente in Roma, Via Lucrezio Caro 62, presso l'avvocato Sabina Ciccotti, rappresentata e difesa dall'avvocato Carlo Mazzù, giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 439/2012 della Corte d'Appello di Messina, depositata il 05/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/04/2016 dal Consigliere Dott. Francesco Antonio Genovese;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Zeno Immacolata, che ha concluso per il rigetto del primo motivo, i restanti motivi inammissibilità in subordine rigetto, assorbito il motivo decimo sulle spese.

Svolgimento del processo

1. La Corte d'Appello di Messina ha accolto l'impugnazione proposta dalla Cooperativa edilizia Luisa a r.l. avverso la sentenza del Tribunale di quella stessa città che, a sua volta, in accoglimento dell'opposizione al decreto ingiuntivo da parte della socia, signora Z.A., aveva revocato il decreto (richiesto dalla società e rilasciato dal Pretore di Messina) e compensato le spese di lite, per il difetto della prova del credito della società verso la socia.
1.1. La Corte territoriale, invece, ha riformato la decisione di prime cure, rigettato l'opposizione al monitorio e condannato l'opponente al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.

1.2. Secondo il giudice distrettuale, in particolare, non avendo la socia impugnato direttamente nè la delibera del 6 agosto 1996 (riguardante il recupero delle morosità di alcuni soci, tra i quali la signora Z.) nè quella del C.d.A. del 13 novembre 1996 (relativa al recupero giudiziale del credito vantato nei confronti della socia), queste - ed, in particolare la prima, a norma dell'art. 2377 c.c. - avrebbe vincolavano tutti i soci, ancorchè non intervenuti o dissenzienti, divenendo la fonte dell'obbligazione, senza che potesse rilevare la mancata esibizione dei pretesi rilevanti documenti contabili, quali i bilanci societari e lo stato patrimoniale della cooperativa, in quanto il vincolo debitorio nasceva dall'apposita deliberazione sociale relativa alla accertata morosità di alcuni soci, fra i quali l'odierna ricorrente.
1.3. Trattandosi di un vizio di annullabilità, peraltro, esso, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, non poteva essere fatto valere oltre il termine di legge (90 giorni).

2. Avverso tale decisione la signora Z.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a dieci motivi, illustrati con memoria, contro cui resiste la società cooperativa, con controricorso e memoria illustrativa.

Motivazione

1. Con il primo motivo di ricorso violazione e falsa applicazione dell'art. 51 c.p.c., comma 4, in relazione agli artt. 161, 175 e 281 c.p.c., artt. 3 e 24 e 111 Cost., (art. 360 c.p.c., n. 4) la ricorrente, premesso che il presidente del collegio di appello aveva già svolto alcune funzioni giurisdizionali nello stesso procedimento, rilasciando il decreto ingiuntivo in favore della cooperativa, ha eccepito la nullità della sentenza in questa sede impugnata, per essere stata resa da un giudice che, avendo deciso un'altra fase dello stesso procedimento, sarebbe stato affetto dal pregiudizio derivante dalle pregresse funzioni svolte, con violazione dei principi scaturenti anche dalla CEDU e dalla Carta di Nizza.

2. Con il secondo violazione e falsa applicazione degli artt. 2377, 2324, 2423, 2424, 2516 e 2224, in relazione agli artt. 163, 184 e 633 c.p.c., illogicità manifesta e vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) la ricorrente si duole della riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui avrebbe disatteso le eccezioni relative ai successivi pagamenti della socia, alle quietanze rilasciate, al trasferimento dell'alloggio ed alla liquidazione del sodalizio.

3. Con il terzo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, vizio di logicità, violazione di legge in relazione agli artt. 2364, 2424 e 2516 (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) la ricorrente, in relazione alle doglianze già esposte con il precedente mezzo di cassazione, lamenta la mancata considerazione e valutazione dei versamenti successivi da parte della socia e le conseguenti variazioni di bilancio posteriori alla delibera non impugnata.

4. Con il quarto violazione di legge; vizio di motivazione, illogicità manifesta; omesso contraddittorio e/o insufficiente motivazione circa un punto controverso od un fatto determinante del procedimento in relazione agli artt. 115, 633 e 645 c.p.c., artt. 2697, 2423 e 2423 bis c.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) la ricorrente si duole del mancato esame delle ragioni di merito e di diritto sostanziale avanzate nell'opposizione atteso che la sentenza della Corte territoriale, errando, si sarebbe limitata a vagliare solo le ragioni di "proponibilità" del ricorso e non anche di valutare tutto ed intero il procedimento istruttorio di primo grado e le incontestate risultanze ottenute, specie in considerazione della natura del procedimento di opposizione al decreto ingiuntivo che imporrebbe l'esame sostanziale della pretesa creditoria che ne è alla base.

5. Con il quinto(violazione e falsa applicazione degli artt. 631 e 653 c.p.c.; omessa motivazione, vizio di logicità, nullità travisamento dei fatti (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)) la ricorrente lamenta che il giudice distrettuale non abbia tenuto conto nè dei bilanci della Cooperativa nè della CTU espletata nel corso del giudizio, documenti dai quali emergerebbe l'inesistenza di alcun credito da parte della Cooperativa. Infatti da entrambi tali documenti risulterebbe mancare il preteso credito, quand'anche fosse stato esistente al momento del deposito del ricorso per il decreto ingiuntivo, così come sarebbe stato chiesto nei motivi d'appello.

6. Con il sesto (violazione di legge, violazione e falsa applicazione degli artt. 2379, 2441, 2423 e 2697, in relazione agli artt. 633 e 645 c.p.c., (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)) la ricorrente si duole della mancata considerazione del contenuto delle delibere assembleari di approvazione dei bilanci successivi all'anno 1996, dai quali risulterebbe che i crediti della società verso i soci sarebbero pari a zero. Il Carattere vincolativo della deliberazione di ricognizione dei debiti sociali dell'anno 1996 avrebbe dovuto essere considerata al pari di quella relativa agli esercizi successivi, parimenti vincolanti.

6.1. Inoltre, la ricorrente avrebbe fornito la prova dei pagamenti dell'ulteriore somma pari a Lire 25 milioni, eseguiti con bonifici, dei quali mancherebbe la tracci anella contabilità della società.

7. Con il settimo violazione di legge, violazione e falsa applicazione dell'art. 2697, in relazione agli artt. 115, 280 e 281 c.p.c., e artt. 2423 e 2424 c.c., art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) la ricorrente si duole del mancato assolvimento dell'onere probatorio da parte della Cooperativa e della omessa sua valutazione da parte del giudice distrettuale.

8. Con l'ottavo vizio di motivazione, contraddittoria e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 3) violazione di norme di diritto la ricorrente si duole del mancato esame delle vicende successive al deliberato del 1996 e, precisamente, della messa in liquidazione della società, raggiungimento dello scopo sociale, l'assegnazione degli alloggi e persino l'alienazione dei cespiti della cooperativa. Fatti tutti dai quali si ricaverebbe l'inesistenza del credito della Cooperativa verso i soci, così come risultante dai bilanci di esercizio approvati dall'assemblea pienamente vincolanti.

9. Con il nono violazione di legge, violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 in relazione agli artt. 115, 280 e 281 c.p.c., e artt. 2423 e 2424 c.c., in relazione all'art. 184 c.p.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) e vizio di omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia la ricorrente si duole del mancato computo delle proprie anticipazioni alla Cooperativa, delle quietanze e degli incassi da questa fatti propri fino a tutto il 2005, della mancata esibizione della documentazione contabile, della mancata appostazione analitica in bilancio di tutte le voci corrette e della omessa loro valutazione da parte del giudice distrettuale.

10. Con il decimo violazione delle norme in tema di liquidazione delle spese giudiziali ex art. 91 c.p.c. e ss., (art. 360 c.p.c., n. 2) e vizio di omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia la ricorrente si duole della violazione della quantificazione delle spese che, in relazione al valore di Euro 3.000,00, avrebbero dovuto portare ad una quantificazione di Euro 699,00 per diritti ed onorari.

11. Preliminarmente, deve essere respinta l'eccezione di inammissibilità del controricorso, sollevata dalla ricorrente nella sua memoria, per il presunto difetto di autosufficienza di esso, e ciò in ragione della asimmetria che nel processo di cassazione rivestono gli atti principali che alimentano il giudizio di legittimità, avendo il controricorso un ruolo subordinato e una funzione di risposta all'atto propulsivo, che è costituito dal ricorso, il quale deve necessariamente contenere tutti i dati e le informazioni necessarie a permetterne il suo svolgimento, a cominciare dalla vicenda processuale ed ai fatti essenziali sottostanti, rappresentati nella sua sintesi utile alla comprensione delle questioni agitate nel corso dell'intero processo, alla loro riduzione progressiva nel corso delle diverse fasi, fino alla loro riduzione in quella di legittimità.

11.1. Va perciò data piena continuità al principio di diritto, che qui si ribadisce, secondo cui "nel giudizio per cassazione, l'autosufficienza del controricorso è assicurata, ai sensi dell'art. 370 c.p.c., comma 2, che dichiara applicabile l'art. 366 c.p.c., comma 1, in quanto possibile, anche quando l'atto non contenga l'autonoma esposizione sommaria dei fatti della causa, ma si limiti a fare riferimento ai fatti esposti nella sentenza impugnata". (Sez. 5, Sentenza n. 13140 del 2010).

12. Il primo motivo, secondo il quale la sentenza sarebbe nulla per il pregiudizio di uno dei componenti del collegio giudicante - che aveva già svolto funzioni giurisdizionali nel caso in esame, rilasciando il decreto ingiuntivo in favore della cooperativa, - appare, oltre che incongruo rispetto alla nozione costituzionalmente condivisibile della "prevenzione del giudizio", avendo quel giudice - persona fisica svolto una sommaria delibazione, inaudita altera parte, volta al rilascio di un decreto ingiuntivo in una fase iniziale e non contenziosa della causa, anche manifestamente infondato.

12.1. Deve infatti ribadirsi il principio di diritto, già elaborato da questa Corte, secondo cui "anche a seguito della modifica dell'art. 111 Cost., introdotta dalla legge costituzionale n. 2, del 1999, in difetto di ricusazione la violazione dell'obbligo di astenersi da parte del giudice che abbia già conosciuto della causa in altro grado del processo (art. 51, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.) non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza da lui emessa, giacchè la norma costituzionale, nel fissare i principi fondamentali del giusto processo (tra i quali, appunto, l'imparzialità e terzietà del giudice) ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina e, in considerazione della peculiarità del processo civile, fondato sull'impulso paritario delle parti, non è arbitraria la scelta del legislatore di garantire, nell'ipotesi anzidetta, l'imparzialità e terzietà del giudice tramite gli istituti dell'astensione e della ricusazione. Nè detti istituti, cui si aggiunge quello dell'impugnazione della decisione nel caso di mancato accoglimento della ricusazione, possono reputarsi strumenti di tutela inadeguati o incongrui a garantire in modo efficace il diritto della parti alla imparzialità del giudice, dovendosi, quindi, escludere un contrasto con la norma recata dall'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la quale, sotto l'ulteriore profilo dei contenuti di cui si permea il valore dell'imparzialità del giudice, nulla aggiunge rispetto a quanto già previsto dal citato art. 111 Cost." (Sez. 3, Sentenza n. 20 del 2010; Sez. 2, Sentenza n. 14807 del 2008).

13. Il secondo ed il terzo motivo appaiono inammissibili in quanto, in disparte la (non consentita) mescolanza tra critiche motivazionali e presunte violazioni di legge, le doglianze (circa l'esistenza di deliberati successivi allegati e non considerati dal giudice distrettuale) risultano non autosufficienti perchè, oltre a non essere trascritte, non dicono "se, come, quando e dove" esse siano state poste nel corso della fase di merito, onde verificare la loro formulazione e, conseguentemente, la risposta (o la mancata risposta) fornita dalla Corte territoriale.

14. Il quarto mezzo, da esaminarsi assieme al settimo (che pone il problema dell'assolvimento dell'onere probatorio da parte della Cooperativa, attrice sostanziale), è manifestamente infondato atteso che la ratio decidendi, posta a base della pronuncia impugnata, è costituita dall'esistenza di un vincolo giuridico per il socio, nascente dal deliberato assembleare, mai impugnato dalla debitrice, riguardante la ricognizione del debito di alcuni soci, fra i quali l'odierna ricorrente. Deliberato poi posto in esecuzione, attraverso la successiva decisione del CdA di far ricorso all'azione ingiuntiva, ossia al prodromo dell'odierna fase giudiziale.

14.1. Infatti, tale ratio decidendi, chiaramente espressa nella sentenza impugnata, è conforme ai principi di diritto che sono già stati, più volte, enunciati da questa Corte, anche se soprattutto in relazione alla delibera di approvazione del bilancio sociale.

14.1.1. E' principio già affermato quello secondo cui "la delibera di un'assemblea ordinaria di una società cooperativa a responsabilità limitata, avente ad oggetto l'approvazione del bilancio, ai sensi dell'art. 2364 c.c., comma 1, n. 1, conformemente alla generale vincolatività delle delibere assembleari per tutti i soci, anche dissenzienti, in mancanza di rituale impugnazione, ha piena efficacia vincolante nei confronti di tutti i soggetti legati dal rapporto sociale, e costituisce altresì piena prova del credito che la società vanta nei confronti del singolo socio, atteso che il principio della libera valutabilità da parte del giudice di merito dei libri e delle scritture contabili, e quindi anche del bilancio, dell'impresa soggetta a registrazione, ai sensi dell'art. 2709 c.c., non si estende ai rapporti fra società e socio, per essere agli stessi applicabile, anche con riguardo alle rispettive posizioni debitorie e creditorie l'indicato principio della vincolatività". (Cass. Sez. L, Sentenza n. 8938 del 1997).

14.2. Nè può sminuirsi un tale principio nei casi, come quello esaminato, in cui si trattava dell'approvazione non già del bilancio sociale ma di una delibera ricognitiva del debito di alcuni soci, atteso che anche tali decisioni societarie, al pari sia di quella canonica di approvazione del bilancio, così come di ogni altra diversa deliberazione assembleare, in mancanza di una rituale impugnazione, producono l'effetto proprio della vincolatività per tutti i soci e costituiscono, ove la società chieda di accertare di essere creditrice verso taluni soci, in modo chiaro ed espresso, piena prova di tale credito che la società, con formale e valida deliberazione assembleare, abbia affermato nei confronti dei partecipi morosi.

14.3. Ne discende che, in tali casi, a fronte della contestazione del titolo di credito vantato dalla società sulla base di una siffatta deliberazione, non ha errato il giudice di merito che - richiesto del riesame del rapporto sostanziale intercorrente tra società e socio - si sia rifiutato di ricostruire la contabilità e la storia del rapporto di dare ed avere tra l'ente ed il suo partecipe e si sia limitato a dar atto dell'esistenza del credito sociale, sulla base del solo titolo costituito dalla deliberazione, mai impugnata dal socio, nel termine di legge.

14.4. Perciò, nella specie, non può fondatamente discorrersi neppure di violazione della regola dell'onere probatorio.

15. Il quinto mezzo, al pari dei primi, appare inammissibile in quanto, ancora in disparte la (non consentita) mescolanza tra critiche motivazionali e presunte violazioni di legge, le doglianze (circa l'esistenza di allegazioni e documentazioni provanti l'inesistenza - quantomeno sopravvenuta - del credito della società, elementi e dati non considerati dal giudice di appello) risultano non autosufficienti perchè, ancora una volta, non dice "se, come, quando e dove" esse siano state poste nel corso della fase di merito (non essendo sufficiente il generico riferimento ai "motivi di appello"), onde verificare la loro formulazione e, conseguentemente, quale sia stata la risposta (o la mancata risposta) da parte del giudice distrettuale.

15.1. Lo stesso dicasi della doglianza relativa alla mancata valutazione giudiziale del fatto relativo alla non comparizione del legale rappresentante della società all'udienza in cui era fissato il suo interrogatorio formale, in quanto di tale mezzo s'ignorano finanche quali siano stati (ex art. 230 c.p.c.) gli "articoli separati e specifici" (non trascritti, come era onere del ricorrente) ammessi dal giudice, anche allo scopo di rilevarne la decisività della pretesa omissione.

16. Il sesto, l'ottavo ed il nono mezzo, al pari dei primi, appaiono inammissibili in quanto le doglianze (circa l'esistenza di allegazioni e documentazioni provanti l'inesistenza - quantomeno sopravvenuta - del credito della società, non considerati dal giudice di appello) risultano non autosufficienti perchè, per l'ennesima volta, non dice neppure "se, come, quando e dove" esse siano state poste nel corso della fase di merito.

17. L'ultimo mezzo è manifestamente infondato in quanto il presupposto in relazione al quale si lamenta la violazione dei limiti tariffari relativi ai compensi professionali è stato calcolato sulla base di Euro 3000,00 di valore della odierna controversia che, invece, essendo pari ad Euro 13.037,00 circa, comporta il rigetto del corrispondente mezzo di doglianza, per l'irrilevanza di quei richiami ad uno scaglione tariffario inadeguato al caso qui da esaminarsi.

18. Il ricorso, pertanto, essendo complessivamente infondato, deve essere respinto.

19. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questa fase che si liquidano in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali forfettarie ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 22 aprile 2016.
Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2016.


 

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