TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA
SECONDA SEZIONE CIVILE
R.G. 4033/ 2015
Il Tribunale di Reggio Calabria, Seconda Sezione Civile, composto dai magistrati:
dott.ssa Patrizia Morabito Presidente
dott.ssa Rosaria Leonello Giudice
dott. Claudio Treglia Giudice relatore
Nel reclamo cautelare iscritto al n. R.G. 4033 /2015 promosso da:
POSTE ITALIANE S.P.A. (P.IVA 01114601006), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in VIA MIRAGLIA, 14 89125 REGGIO CALABRIA, POSTE ITALIANE - UFFICIO LEGALE, rappresentata e difesa nel presente giudizio dagli avv. VACCARI RITA e FIUMANÒ TAMARA , per procura in atti
RECLAMANTE
contro
F. G., elettivamente domiciliato in VIA NAZIONALE 233, LAZZARO MOTTA SAN GIOVANNI, presso lo studio dell'avv. MALAVENDA MICHELE che lo rappresenta e difende nel presente giudizio, per procura in atti
RECLAMATO

Svolgimento del processo

A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 8.1.2016, osserva quanto segue.
Con ricorso depositato in data 5.6.2015, l'odierno reclamato, titolare di conto corrente postale presso Poste Italiane S.p.a. rappresentava che, in data 18.4.2013, aveva subito un furto nella propria autovettura nel quale gli erano stati sottratti, tra l’altro, un carnet di assegni postali in bianco, fatto per cui aveva sporto regolare denuncia; che aveva informato dell’accaduto l’ufficio postale presso cui era aperto il conto corrente, ed ivi aveva sottoscritto dei moduli per la richiesta di annullamento di detti titoli; che, successivamente, dopo aver ricevuto due dinieghi in ordine a richieste di finanziamento presso due istituti finanziari, aveva appreso che uno dei titoli sottratti era stato iscritto nel registro dei protesti con la causale “irregolarità dell’assegno, assegno recante firma non riferibile al correntista, ma non denunciato smarrito o rubato - assegno recante una firma di traenza illeggibile e non corrispondente allo specimen”; che la levata di detto protesto era illegittima, perché l’assegno era stato denunciato rubato e che, essendo la firma di traenza sull’assegno diversa da quella del correntista, non era legittima la levata nel protesto nei suoi confronti; che, in conseguenza di tale protesto, aveva subito e stava subendo un pregiudizio grave e irreparabile al proprio buon nome ed all’immagine, nonché al proprio patrimonio, per non aver avuto accesso al credito. Concludeva, pertanto, chiedendo al Tribunale di ordinare alla Camera di Commercio di Roma e a Poste Italiane S.p.a. la cancellazione del protesto illegittimamente elevato.

Si costituiva Poste Italiane S.p.a. chiedendo il rigetto della domanda cautelare per assenza del fumus boni iuris e del periculum in mora.
La Camera di Commercio di Roma restava contumace.

Con ordinanza in data 10.11.2015, il giudice monocratico, in accoglimento del ricorso, ordinava a Poste Italiane e alla Camera di Commercio di Roma di sospendere la pubblicazione sul registro informatico del protesto elevato a carico del ricorrente relativamente all’assegno in contestazione e condannava Poste Italiane alle spese di lite, che compensava nei confronti della Camera di
Commercio.
Proponeva reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. Poste Italiane S.p.a., rappresentando la legittimità della levata del protesto a carico del ricorrente, in quanto la sottoscrizione sull’assegno risultava del tutto illeggibile, tanto che lo stesso Giudice di prime cure non era riuscito ad individuare un nome e cognome precisi, limitandosi a presumerli. In caso di non completa leggibilità della sottoscrizione, a parere del reclamante, era corretta l’elevazione del protesto a carico del correntista, poiché, in caso contrario, sarebbe stato impossibile individuare l’emittente apparente a cui elevare il protesto.
Aggiungeva il reclamante che parimenti corretta doveva ritenersi la causale indicata nel protesto, per essersi limitato il G. a procedere ad un annullo generico senza indicare gli assegni come rubati e senza esperire la procedura di ammortamento. Riteneva il reclamante che neppure poteva dirsi sussistente il periculum in mora, in quanto nessun pregiudizio poteva profilarsi a carico del reclamato, atteso che la causale del protesto indicava la sola irregolarità dell’assegno, a tutela della speditezza e dell’efficienza dei traffici commerciali, senza che ciò potesse indicare una scarsa solvibilità del ricorrente o la sua identificazione come cattivo pagatore, né vi era prova concreta del pregiudizio lamentato, in quanto il protesto illegittimo è solo potenzialmente produttivo di pregiudizi, i quali devono essere allegati e provati caso per caso. Sosteneva pure la reclamante di non avere alcuna legittimazione alla cancellazione o alla variazione dei protesti nel Registro informatico, spettando queste attività alla sola Camera di Commercio.

All’udienza del 8.1.2016, sulle conclusioni delle parti, il Collegio riservava di provvedere.

Motivazione

Le censure al provvedimento impugnato, sostanzialmente riproduttive delle questioni motivatamente disattese dal Giudice della prima fase, non sono fondate.

Appare opportuno premettere che una condivisibile giurisprudenza ha negato la possibilità di elevazione di un protesto di un assegno tratto su un conto corrente nei confronti del titolare del conto stesso, nel caso in cui la firma di traenza indichi un nome completamente diverso dal titolare. In tal caso, infatti, non è possibile in alcun modo ingenerare nella banca trattaria la convinzione dell'apparente riferibilità dell'assegno al predetto titolare del conto, di tal ché non può dirsi che il correntista si sia formalmente obbligato per la relativa somma e conseguentemente egli non può essere ritenuto inadempiente (Cass. 16617/2010).
In altre parole, è inibito all’Istituto di credito di elevare il protesto nei confronti del correntista, non nei soli casi in cui possa identificarsi nella sottoscrizione apposta sul titolo un nome e cognome determinati, ma in tutti i casi in cui sia possibile, in negativo, escludere che il titolo di credito rechi un nome e cognome identificabili con quelli del titolare del conto. In tali casi, la giurisprudenza ha ritenuto che il protesto debba essere elevato nei confronti dell’emittente apparente, anche qualora quest’ultimo risulti un soggetto inesistente e ciò al fine di evitare pregiudizi a carico del correntista incolpevole, restando la banca sufficientemente tutelata dal protesto elevato a nome di altro soggetto, ancorché inesistente (Cass. 6006/2003). La stessa massima giurisprudenziale indicata dal reclamante è in termini, stabilendo il principio per cui “nell’ipotesi in cui la firma di traenza di un assegno bancario indichi un nominativo completamente diverso dal correntista ed immediatamente identificabile come tale, il protesto non può essere levato a nome del titolare del conto, ma va levato a nome del sottoscrittore” (Cass. 8787/2012).

Qualora, invece, la sottoscrizione sia del tutto illeggibile è corretta l’elevazione del protesto a carico del correntista, non potendosi escludere che tale firma, proprio perché completamente illeggibile, sia riconducibile a costui.

Ciò chiarito, deve escludersi che la sottoscrizione sull’assegno in contestazione possa ritenersi del tutto illeggibile come già ritenuto dal Giudice di prime cure. Il collegio rileva, infatti, che la firma, per come oggettivamente riscontrabile dagli atti, non è riconducibile al correntista G. F., essendo il nome ivi apposto evidentemente diverso da quello dell’odierno reclamato.
Inconferenti sono le questioni poste da parte reclamante in ordine alla corretta procedura da esperire ad opera del correntista in caso di furto dell’assegno, non essendo contestata la facoltà di Poste Italiane di procedere al protesto dell’assegno ed essendo solo inibito a quest’ultima di elevare il protesto nei confronti del titolare del conto corrente.

Infondati sono i motivi di reclamo relativi alla sussistenza del periculum in mora.
E’ stato, infatti, ritenuto in giurisprudenza che la mera illegittima pubblicazione del nome del correntista sul bollettino dei protesti sia un fatto ingiusto potenzialmente produttivo di danno, esponendo costui a un discredito sociale ed economico ed essendo irrilevante la sua collocazione in apposita categoria (Cass. 8787/2012, 2936/1974). Nella presente fase cautelare, del resto, non è necessaria la verifica puntuale dei danni cagionati dal protesto, rilevando il mero pericolo di un pregiudizio grave ed irreparabile. Il pregiudizio lamentato, peraltro, risulta dimostrato in concreto,
avendo l’originario ricorrente prodotto copie di missive a lui indirizzate in cui gli venivano negate due richieste di finanziamento, in ragione delle risultanze di cui alle banche dati creditizie, né rileva la mancanza di un espresso riferimento al protesto per cui è causa, non essendo dimostrata la riconducibilità di tali iscrizioni pregiudizievoli a causali diverse.

Infondata è la doglianza di parte reclamante in merito al difetto di legittimazione passiva in ordine alla cancellazione del protesto dal registro informatico. A norma dell’articolo 4 comma 2 della legge 12.2.1955 n. 77, come sostituito dall’art. 2 della legge 18.8.2000 n. 235, le aziende di credito sono, infatti, titolate a chiedere la cancellazione di un nominativo dal registro informatico di cui all’art. 3bis D.L. 18.9.1995 n. 381, qualora si sia proceduto illegittimamente o erroneamente alla levata del protesto.

Le spese di lite della presente fase seguono la soccombenza e sono liquidate, tenuto conto dell’attività difensiva svolta, dell'assenza di attività istruttoria e della complessità delle questioni di fatto e di diritto trattate, in complessivi euro 1.200 di cui euro 500 per fase di studio, euro 350 per fase introduttiva ed euro 350 per fase decisoria, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.
Poiché il presente giudizio è iniziato successivamente al 30 gennaio 2013 e l’impugnazione è rigettata, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto all'art. 13, comma 1 quater del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

rigetta il reclamo e, per l’effetto, conferma l’ordinanza reclamata in ogni sua statuizione;
- condanna Poste Italiane S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese di lite della presente fase del giudizio in favore di G. F. che si liquidano in complessivi euro 1.200,00 per compensi di Avvocato, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore del procuratore
antistatario;
- ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della reclamante Poste Italiane S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Reggio Calabria nella Camera di consiglio del 22.1.2016.


 

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