Tribunale di....

- Giudice dott. _________ – R.G.n. _________



 NOTE EX ART.183 C.P.C. – I termine



per



Prima  ( Avv._________);                                                                                                  attrice



contro



AZIENDA OSPEDALIERA “ALFA” (Avv. _________);      



    convenuta



nonché



dott. Secondo (Avv. _________)      



convenuta 




Con atto di citazione ritualmente notificato,
la sig.ra Prima  conveniva in giudizio, dinanzi codesto On.le Tribunale, l’azienda ospedaliera Alfa di Marte unitamente al dott. Secondo, per ivi sentire accertare e dichiarare la totale ed esclusiva responsabilità del Dott. Secondo in ordine ai danni patiti dall’attrice a seguito dell’intervento chirurgico subito in data 25.09.2000, e per l'effetto condannare i convenuti, in solido tra loro, al risarcimento, in favore dell’istante, di tutti i danni fisici subiti e subendi per invalidità permanente e temporanea, assoluta e parziale, danno biologico, danno patrimoniale e non patrimoniale, danno morale e spese mediche, nell’ importo di € 17.776,80, ovvero nella somma minore o maggiore che sarà determinata in corso di causa. Con vittoria di spese, competenze ed onorari.



All’udienza di prima comparizione del 04.06.04 si costituivano in giudizio entrambi i convenuti contestando la domanda attorea sia sotto il profilo dell’an debeatur che del quantum.



Successivamente alla prima udienza di trattazione del 19.11.2004, il G. I., dott. Salomone, assegnava termini alle parti per note rispettivamente ex artt.183  c.p.c., rinviando all’udienza del 08.04.05.



* * * * * *




La sig.ra Prima, anche alla luce delle avverse difese, nel riportarsi integralmente all’atto introduttivo del presente giudizio, ritiene necessario sottolineare alcuni punti di fatto e di diritto, volti ad evidenziare ulteriormente la piena fondatezza della domanda attorea.





  • SULL’AN DEBEATUR



Le difese di entrambi i convenuti ruotano essenzialmente su due punti centrali quali: l’asserita avvenuta prestazione del consenso informato da parte della sig.ra Prima, nonché la pretesa cicatrizzazione esuberante tipo “cheloide” come fatto costituzionale della medesima attrice, tale da rendere inevitabile la produzione dei danni fisici lamentati.



Ordunque, in questa sede non può sottacersi la totale infondatezza delle avverse difese esperite con riferimento all’an debeatur. Alla luce di ciò si ritengono necessarie alcune precisazioni proprio su ciascuno dei due punti sopra individuati.



1) SULLA NATURA DI ATTO PUBBLICO DELLA CARTELLA CLINICA



Orbene i convenuti, smentendo in modo pressoché totale le risultanze della cartella clinica versata agli atti di causa, offrono una ricostruzione dei fatti del tutto arbitraria, infondata e comunque non rispondente al vero.



Secondo detta ricostruzione
la sig.ra Prima avrebbe concordato l’escissione di ben quindici formazioni neviche, sia in una visita tenutasi nei locali dell’azienda ospedaliera convenuta a fine settembre 2000, sia durante l’intervento. In tal modo i medesimi convenuti assumerebbero la prestazione del consenso informato da parte dell’odierna attrice in forma orale alla presenza del dott. Secondo.



Ad onor del vero, nell’offrire detta arbitraria dinamica dei fatti, entrambi i convenuti vengono a scontrarsi con le risultanze emergenti in modo incontrovertibile dalla cartella clinica rilasciata dalla pubblica struttura ospedaliera convenuta che, costituendo a tutti gli effetti un atto pubblico ex art. 2699 cc.c. (così come sostenuto da giurisprudenza costante ed univoca), fa piena prova fino a querela di falso, secondo il dettame normativo di cui all’art. 2700 c.c..



Di guisa che detta cartella clinica gode di efficacia probatoria privilegiata con riferimento alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti o degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.



Secondo il costante indirizzo giurisprudenziale il valore probatorio di atto pubblico della cartella clinica va, peraltro, attribuito “alle attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento” (Cass. 12 maggio 2003 n.7201; Cass. 27 settembre 1999, n. 10695; Cass. 18 settembre 1980, n.5296).



Pertanto, nel caso di specie la cartella clinica in questione fa piena prova ex art. 2700 c.c. con riferimento alle circostanze che di volta in volta il P.U. redigente della medesima ha attestato avvenute alla sua presenza.



a)     Diagnosi di accettazione



Alla prima pagina della cartella clinica de qua sotto la voce “15 – diagnosi di accettazione” si legge “15)  NEVO REG. DORSALE”. Parimenti, alla pagina 2 di detto documento con riferimento alla diagnosi di accettazione si legge: “Nevo regione dorsale”.



Appare pertanto evidente come
la signora Prima in data 25.09.2000 si sia recata presso la struttura ospedaliera Alfa  di Benevento, sulla base della visita di fine settembre, per l’escissione di una sola lesione nevica sulla regione dorsale e non anche di ben quindici formazioni neviche.



b)     Assenza di previo accordo tra il dott. Secondo e
la sig.ra Prima



Con riferimento, invece, al preteso accordo che sarebbe intervenuto tra l’odierna attrice ed il dott. Secondo circa l’escissione di ben quindici formazioni neviche, è la medesima cartella clinica a smentire detto assunto allorché in prima pagina sotto la voce “18 - Medico che invia” indica “18) PETROCCIA”. Sebbene l’istante sia stata visitata a fine settembre dal Secondo, la stessa non conosceva assolutamente lo stesso medico, bensì
la sig.ra Prima si recava presso l’azienda ospedaliera per un controllo ad una lesione nevica, senza conoscere preventivamente quale medico l’avrebbe visitata. Tant’è che, appunto, sotto la voce “medico che invia” non si legge il nome del dott. Secondo. 



c)     Assenza del consenso informato



Nessuna traccia del preteso consenso informato prestato dall’attrice si ha nella cartella clinica alla medesima rilasciata. Situazione, questa, del tutto paradossale, ancor più grave se si pensa che la stessa sig.ra Prima veniva ricoverata per l’escissione di una sola formazione nevica e poi di fatto l’intervento ne avrebbe coinvolte ben quindici. Nessun consenso informato è stato prestato dall’odierna attrice che, durante l’intervento chirurgico, non ha avuto la necessaria lucidità per accorgersi di quanto le stava accadendo e soprattutto per poter in qualche modo reagire. D’altro canto, non è affatto paradossale che un paziente sottoposto ad intervento chirurgico non sia in grado di rendersi conto dell’operato del chirurgo.
La paziente Prima sdraiata sul lettino attendeva fiduciosa che l’intervento giungesse a termine; non si può in alcun modo pretendere che la stessa potesse accorgersi della portata dell’intervento. Inoltre, non può sottovalutarsi che, per stessa ammissione di parte convenuta, durante i circa trenta minuti di intervento, le venivano applicate infiltrazioni di anestetico per un totale di circa 75 punture (4 – 5 per neo come si legge a pagina 3 della comparsa di costituzione e risposta del Dott. Secondo). Né può addebitarsi all’odierna attrice come comportamento omissivo e/o colposo il non aver reagito interrompendo l’intervento in corso di esecuzione qualora, nonostante l’effetto dell’anestetico e la normale soglia di tensione del caso, si fosse resa conto del numero di escissioni compiute. 



Secondo le difese mosse da entrambi i convenuti sarebbe colpevole e financo paradossale il contegno del paziente che, sottoposto ad intervento chirurgico, rimanga sdraiato sul lettino senza fare domande e/o chiedere spiegazioni attendendo la conclusione del medesimo.



Invero, appare, invece, del tutto colpevole il contegno tenuto da entrambi i convenuti i quali non hanno minimamente informato
la paziente Prima dell’intervento che avrebbe dovuto subire, sui benefici, sulle modalità in genere, sulla scelta tra diverse modalità operative e sui rischi specifici prevedibili dell’intervento terapeutico.



Con riferimento all’assenza di consenso informato da parte della paziente Prima non può in questa sede sottacersi il consolidato orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte: «Nel caso in cui il medico ometta di informare il paziente sulle caratteristiche ed i rischi dell'intervento, e questo non riesca per circostanze non dipendenti da colpa del medico, quest'ultimo potrà essere condannato a risarcire il danno patito dal paziente, consistito nel peggioramento delle sue condizioni di salute, essendo sufficiente che il paziente stesso alleghi e dimostri che, se fosse stato informato circa i rischi dell'intervento, avrebbe verosimilmente rifiutato di sottoporvisi, residuando, altrimenti, la risarcibilità del danno conseguenza, ricollegabile alla sola lesione del diritto all’autodeterminazione» (Cassazione Civile - Sez. III, Sent. n. 2847 del 09.02.2010).



Nella motivazione di detta sentenza si rinvengono alcuni passaggi chiave che di seguito riportiamo: «Il diritto all'autodeterminazione è diverso dal diritto alla salute; esso rappresenta ad un tempo una forma di rispetto per la libertà dell'individuo e un mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi. Secondo la definizione della Corte costituzionale (sentenza n. 438 del 2008, sub. n. 4 del "Considerato in diritto") il consenso informato, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento negli artt. 2, 13 e 32 Cost.



«Anche in caso di sola violazione del diritto all'autodeterminazione, pur senza correlativa lesione del diritto alla salute ricollegabile a quella violazione per essere stato l'intervento terapeutico necessario e correttamente eseguito, può sussistere uno spazio risarcitorio.»

«La violazione di un diritto fondamentale della persona, qual'è quello all'autodeterminazione in ordine alla tutela per via terapeutica della propria salute, comporta la risarcibilità di ogni tipo di pregiudizio non patrimoniale che ne sia causalmente derivato



d)     inammissibilità della prova per testi ex artt. 2700 e 2722 c.c.



Occorre, peraltro, precisare come, il consenso informato, secondo le controparti, prestato oralmente dalla sig.ra Prima, non sia suscettibile di prova testimoniale. Infatti, non si scorge alcuna traccia di esso nella cartella clinica la quale fa prova sino a querela di falso delle dichiarazioni rese dinanzi al P.U. redigente, nonchédelle attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento (Cass. 12 maggio 2003 n.7201; Cass. 27 settembre 1999, n. 10695; Cass. 18 settembre 1980, n.5296).



D’altro canto, sarebbe del tutto paradossale che le lacune colpevolmente tralasciate dall’Azienda Ospedaliera convenuta all’interno della cartella clinica ricadano a sfavore della paziente che si troverebbe impossibilitata a fornire la prova negativa circa la mancata prestazione del consenso informato.     



Sul punto, non può nemmeno tralasciarsi il disposto di cui all’art. 2722 c.c. il quale recita: la prova per testimoni non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento.



La cassazione, pronunciandosi su una questione in tutto assimilabile al caso di specie, con riferimento a detta norma ha affermato: “il divieto di cui all’art. 2722 c.c. riguarda non le sole dichiarazioni rese in un contratto, ma anche quelle inserite in un documento che, quantunque sottoscritto da una sola delle parti, sia idoneo per il suo contenuto a rivelare la convenzione che sia dedotta in giudizio e della quale una parte intenda dare la prova nei confronti dell’altra” (Cass. 897/1996).



Ove, nel caso di specie, la convenzione provata documentalemnte dalla cartella clinica sta nella diagnosi di accettazione, non in quanto dichiarazione e/o valutazione di scienza medica, bensì da intendersi quale concreto motivo del ricovero in Day Surgery. Di guisa che
la sig.ra Prima secondo la cartella clinica rilasciata dall’Azienda Ospedaliera convenuta veniva ricoverata in Day Surgery per l’escissione di una sola formazione nevica e ciò risulta dimostrato da atto pubblico che ne costituisce prova piena fino a querela di falso.



Inoltre, appare evidente come nella fattispecie in questione la prova testimoniale richiesta dai convenuti vorrebbe dedurre in giudizio un patto aggiunto rispetto a quanto certificato dalla cartella clinica, quale documento – atto pubblico dotato di efficacia probatoria privilegiata (art. 2700c.c.). Se, pertanto, la cartella clinica fa piena prova delle dichiarazioni rese dalle parti dinanzi al P.U. redigente, nel caso di specie, dunque, si ha la piena prova che nessun consenso è stato prestato dalla sig.ra Prima circa l’intervento di escissione di quindici formazioni neviche. D’altro canto se così non fosse il P.U. redigente avrebbe omesso di dare atto di detto consenso informato, venendo meno al proprio dovere, con risvolti che eventualmente interesserebbero la magistratura in sede penale (omissione di atti d’ufficio).



Alla luce di ciò, parte attrice, sin da ora si oppone alle richieste istruttorie formulate dalle controparti chiedendo che venga dichiarata l’inammissibilità della prova per testi sì come articolata da entrambe i convenuti ai sensi dell’art. 2700 e 2722 c.c.. 



e)     ulteriori gravi e colpevoli lacune presenti all’interno della cartella clinica



Non possono, infine, tralasciarsi le ulteriori gravi lacune presenti all’interno della cartella clinica e che pertanto devono ritenersi lacune effettive di grave portata verificatesi nel trattamento sanitario in questione subito dalla sig.ra Prima.



Non appare documentato in cartella clinica il motivo per il quale il chirurgo operatore avrebbe deciso di asportare più di una formazione nevica, non vi è una descrizione clinica adeguata dell’esame obiettivo locale, manca una documentazione fotografica, ne è stato richiesto il parere di altri specialisti , quale il dermatologo, né risultano agli atti esami strumentali che deponessero per la necessità di ulteriori atti chirurgici oltre quello relativo alla diagnosi di ricovero.



Peraltro,
la sig.ra Prima non veniva informata minimamente dei rischi connessi con l’intervento che avrebbe subito, né della possibilità che si potesse verificare una cicatrizzazione esuberante, tipo “cheloide”, come fatto costituzionale. Le controparti, infatti si limitano ad affermare tale cicatrizzazione come casualità verificatasi entro i canoni dello sviluppo dell’intervento, ammettendo, sul punto, di non aver avvertito
la paziente Prima dei rischi cui andava incontro.




La Suprema Corte, ha sentenziato in materia: “in tema di terapia chirurgica, il dovere di informazione che grava sul sanitario è funzionale al consapevole esercizio, da parte del paziente, del diritto, che la stessa Carta Costituzionale, agli artt. 13 e 32 secondo comma, a lui solo attribuisce, alla scelta di sottoporsi o meno all’intervento terapeutico. In particolare, dalla peculiare natura del trattamento sanitario volontario scaturisce, al fine di una valida manifestazione del consenso da parte del paziente, la necessità che il professionista lo informi dei benefici, delle modalità di intervento, dell’eventuale possibilità di scelta tra diverse tecniche operatorie e, infine, dei rischi prevedibili in sede post-operatoria, con la conseguenza che l’omissione di tale dovere di informazione genera, ina capo al medico, nel caso di verificazione di evento dannoso, una duplice forma di responsabilità tanto contrattuale quanto aquiliana” (Cass. 9705/1997).



Sul punto, peraltro, non può sottacersi come sia del tutto falsa ed arbitraria la quanto affermato da ambo le controparti secondo cui “la Prima ha una cicatrizzazione esuberante come fatto costituzionale, tipo “cheloide”, per cui, con la necessaria asportazione dei nei sospetti, era inevitabile quel tipo di cicatrizzazione” (vedi Comparsa di costituzione e risposta Azienda Ospedaliera “Alfa” pag. 7).



Detta affermazione risulta essere del tutto arbitraria e non accertata prima dell’intervento chirurgico con nessun mezzo scientificamente attendibile.  E’, infatti, onere dei convenuti fornire una prova rigorosa di detto assunto senza la quale lo stesso non può che considerarsi destituito di ogni fondamento.



Peraltro,
la sig.ra Prima ha precedentemente subito un altro intervento di escissione di una formazione nevica senza che sia residuata una cicatrizzazione sgradevole alla vista nè così penalizzante dal punto di vista estetico come quelle in questione. Con riferimento a detta circostanza sarà valutazione discrezionale di questa difesa in sede di articolazione dei mezzi istruttori richiedere o meno l’ammissione della relativa documentazione medica, in ogni caso senza l’inversione dell’onere della prova.



2) SULLA RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE



Infine, volendo prescindere da tutte le considerazioni, le deduzioni e gli argomenti sopra sviluppati, non può comunque porsi in secondo piano la responsabilità professionale del chirurgo dott. Secondo nell’esecuzione dell’intervento di cui è causa.



Infatti, la responsabilità professionale del chirurgo, quale prestatore d’opera intellettuale, trova la propria disciplina giuridica nel combinato disposto degli artt. 1176 e 2236 c.c. dai quali emerge la regola in base alla quale nell’adempimento delle obbligazioni inerenti l’esercizio di una determinata attività professionale, il professionista deve usare la diligenza del buon padre di famiglia, da valutarsi, tuttavia, con riferimento alla natura dell’attività esercitata.



Da quanto appena detto emerge che “si configura la responsabilità del medico anche per colpa lieve, ove di fronte ad un caso ordinario non abbia osservato per inadeguatezza ed incompetenza della prestazione professionale, ovvero per omissione della media diligenza, quelle regole precise che siano acquisite per comune consenso e consolidata sperimentazione, alla scienza pratica” (Cass. 1847/88).



Quando, cioè, il  medico si trovi di fronte ad un caso ordinario, lo standard di diligenza richiesto è quello proprio della categoria professionale cui appartiene.



Orbene, nel caso di specie, appare del tutto pacifico che l’intervento chirurgico in Day Hospital per l’asportazione di una formazione nevica si presenti quale operazione routinaria, non potendosi di certo definire di particolare complessità.



Infatti in virtù di quanto disposto dall’art. 2236 c.c., solamente quando il professionista si trovi ad affrontare un caso concreto straordinario ed eccezionale, questi sarà responsabile limitatamente alle ipotesi di dolo o colpa grave.



Ora, appartiene alla comune esperienza l’assunto di ordine meramente pratico in virtù del quale l’asportazione di una formazione nevica è da considerarsi operazione tra le più semplici, stante lo stato di avanzamento cui è giunta la scienza medica, mediamente applicata nelle strutture ospedaliere italiane.



Da ciò deriva, con riferimento all’onere della prova, come affermato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, che “nel caso di intervento di facile o routinaria esecuzione il paziente ha solo l’onere di provare  la natura routinaria dell’intervento, mentre sarà il medico, se vuole andare esente da responsabilità, a dover dimostrare che l’esito negativo non è ascrivibile alla propria negligenza o imperizia” (Cass. 1127/98 e 8218/90).





  • SUL QUANTUM DEBEATUR



Con riferimento al quantum debeatur, parte attrice si riporta integralmente a quanto dedotto argomentato e richiesto nell’atto introduttivo del presente giudizio ritenendo le avverse eccezioni del tutto generiche, prive di pregio nonché destituite del benché minimo fondamento sia in fatto che in diritto.   



Tanto premesso, argomentato e dedotto,
la sig.ra Prima , come in atti domiciliata rappresentata e difesa, insiste per l'accoglimento delle seguenti


CONCLUSIONI

Voglia l’on.le Tribunale adito, contrariis reictis, accertare e dichiarare la responsabilità del dott. Secondo nella causazione delle lesioni patite dalla sig.ra Prima, e per l’effetto, condannarlo in solido con l’Azienda Ospedaliera “Alfa”, in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento di tutti i danni conseguenti alle lesioni subite dall’attrice sig.ra Prima  per complessivi € 50.000,00 - comprensivi del  danno biologico, estetico e morale, – ovvero nella somma diversa minore o maggiore ritenuta di giustizia, oltre rivalutazione monetaria ed interessi nella misura di legge sulla somma rivalutata. Con vittoria di spese, competenze ed onorari da distrarsi in favore del procuratore antistatario.





 

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