>La valutazione degli interessi corrispettivi e moratori alla luce dell'ordinanza 23192/17

Spesso ci siamo trovati di fronte al dubbio di come valutare l’incidenza degli interessi corrispettivi di un mutuo con i relativi interessi di mora.
L’unica certezza, avuta in precedenza, riguarda la celebre sentenza della Cassazione civile n. 350/2013. Ovvero che, nella determinazione del tasso effettivo, non è consentito sommare gli interessi corrispettivi con gli interessi di mora. Se, in un mutuo, il tasso nominale (TAN) è pari al 5% ed il tasso di mora è pari al 7%, non possiamo assolutamente dire che il tasso effettivo sia 5% + 7% = 12%.

Condivido in pieno tale affermazione. Infatti, la sommatoria dei due valori sarebbe assurda, perché durante il periodo ante scadenza rata si applica solo il 5%, mentre nel periodo successivo l’unico tasso nominale applicabile è il 7%. Inoltre, altra grande differenza sta nel fatto che, in un mutuo, gli interessi corrispettivi si calcolano sul debito capitale residuo complessivo, mentre gli interessi di mora si calcolano sulla quota capitale della rata, appunto, in mora (ex attuale art. 120 Testo Unico Bancario).

Solo per mero scrupolo, sottolineo che, nell’esempio di cui sopra, il 12% sarebbe, in ogni caso, un tasso nominale e non effettivo. Quest’ultimo, invece, è quello richiesto dalla legge 108, vista la rilevanza di tutti gli oneri, finanziari e non, con la sola esclusione delle imposte e tasse.
Quindi, è evidente che queste due entità convivono secondo il criteri dei cosiddetti “binari paralleli” per applicazione temporale diversa. Ma è altrettanto evidente che entrambe segnano la vita di un mutuo/prestito.

Occorre individuare l’esatta convivenza e rilevanza ai fini della legge n. 108 del 1996 in materia di usura.
Pochi giorni fa è venuta alla luce l’ordinanza 13 luglio – 4 ottobre 2013 n. 23192 della Corte di Cassazione, sezione VI civile, la quale ha trattato l’argomento in questione dando due risposte:
1. In merito al momento in cui si realizza il fenomeno dell’usura; e
2. In merito alla rilevanza degli interessi di mora nel conteggio del tasso effettivo da confrontare con i tassi soglia trimestrali.

Sul primo quesito, la suprema Corte ha ricordato l’esistenza della legge n. 24 del 2001 (oggetto di mia pubblicazione su www.dirittoitaliano.com del 19.05.2016 - La legge n.108 del 1996 e le istruzioni della Banca d'Italia).
La legge 24/2001, ricordiamo in breve, per una parte, è norma di interpretazione autentica della legge 108/1996. E distingue il momento della pattuizione dal momento del pagamento (meglio dire addebito) degli oneri, così come fa la 108 quando, modificando l’articolo 644 del codice penale, afferma che il reato si manifesta, temporalmente, sia all’atto della promessa, che all’atto del pagamento (addebito) degli interessi. Dando rilievo, sia in sede penale che civile, all’usura sopravvenuta oltre che all’usura originaria.

Sul secondo quesito, la Cassazione del 2017 ricorda di essersi già espressa con sentenza n. 5324 del 4.04.2003 per affermare che, ai fini del calcolo del tasso effettivo da confrontare con il relativo tasso soglia, devono essere considerati sia gli interessi corrispettivi che gli interessi di mora.
Per rendere evidente la ratio di tale affermazione faccio un esempio. Consideriamo un mutuo con TAN pari allo 0,10%, quindi molto economico, e tasso di mora del 50,00%. Domanda: è un mutuo regolare o viziato? Ovviamente, il mutuatario, che non andrà mai in mora, pagherà pochissimi oneri finanziari. Ma, se, anche in una sola occasione, dovesse andare in mora, sarebbe senz’altro colpito da usura.
Volendo analizzare la posizione del “fortunato” mai in mora, posso affermare che, in sede di stipula del contratto di mutuo, fu “minacciato” di usura. Minacciare qualcuno è un reato.
Questo, dal punto di vista del diritto, ha una spiegazione logica. Il vero problema si sposta sul piano tecnico, ovvero come calcolare il tasso effettivo che tenga conto, senza sommarli, sia degli interessi corrispettivi che degli interessi moratori.

Il problema si risolve, leggendo con attenzione sia la legge 108, che la legge 24. Ovvero, il confronto del tasso effettivo va fatto, sia alla data della stipula, che alla data di ogni singola rata. E non potendo sommare i due tipi di interesse, occorre, però tenerne conto, come ribadito in altre occasioni sempre dalla Cassazione (ordinanza n. 5598 del 2017 e sentenza n. 14899 del 2000).
Ricordando che la legge 108 prevede che l’usura può manifestarsi non solo con il pagamento (addebito) di interessi usurari, ma anche con la semplice promessa degli stessi, allora, è evidente che il test dell’usura va effettuato in tutte le date relative alla vita di un mutuo (stipula e scadenze periodiche), calcolando, per ogni data, sia il tasso effettivo pattuito che il tasso effettivo applicato (pagato o addebitato), sia in caso di mora, che in assenza di mora. Ad esempio, un muto decennale con rate mensili mostrerà 121 date da analizzare (la stipula e le 120 scadenze).
Per le 120 rate dovremo verificare sia l’eventuale usura pattuita che quella applicata, sia in caso di mora, che in assenza di mora. Quindi, quattro tassi effettivi per ogni rata. Con il risultato di avere 480 tassi effettivi in occasione delle 120 rate (120 x 4 = 480). In caso di superamento del tasso soglia, saremo in presenza di usura sopravvenuta.

In occasione della stipula, invece, si può solo calcolare il tasso effettivo pattuito comprensivo della mora, vista l’assenza di pagamento/addebito a quella data. Se il tasso effettivo pattuito supererà, in occasione della data di stipula, il tasso soglia, allora saremo in presenza di usura originaria pattuita.
La Cassazione, ricordando la propria sentenza 4 aprile 2003 n. 5324 afferma: “Ha errato, allora, il Tribunale nel ritenere in maniera apodittica che il tasso di soglia non fosse stato superato nella fattispecie concreta, solo perché non sarebbe consentito cumulare gli interessi corrispettivi a quelli moratori al fine di accertare il superamento del detto tasso”.
E tra i fatti di causa, citati nell’ordinanza in questione, viene ricordato che è emerso dalla CTU che “al momento della pattuizione, il tasso degli interessi moratori era superiore al tasso soglia, vertendosi, così, in ipotesi di usura originaria”.

Aggiungo, inoltre, che, alla data della stipula, l’istituto di credito è a conoscenza dell’entità dei tassi soglia di periodo vigenti. Per cui, in teoria, è consapevole di quanto pretenderebbe nell’eventualità di mora.
Questo dovere di conoscere il tasso effettivo in caso di mora, all’atto della stipula, è rilevante. Infatti, il dolo è evidente in caso di sforamento dei tassi soglia.

Basta solo questo eventuale vizio ab origine per pretendere l’applicazione dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile.
Infatti, il ricorso dell’istituto di credito volto a pretendere, visto l’avvenuto fallimento del mutuatario, l’ammissione al passivo per sorte capitale, più interessi corrispettivi, più interessi moratori, viene rigettato dalla Suprema Corte, la quale conferma il decreto del Tribunale di Matera del 19.05.2016, R.G. 1667/2013, che aveva ammesso al passivo la banca con riferimento alla sola sorte capitale.

Rammento, infine, che l’eventuale clausola di salvaguardia, che in sede di stipula prevede la rideterminazione del tasso di mora entro i limiti dei tassi soglia futuri, citata in parecchi contratti di mutuo, è nulla “per contrarietà a norme imperative”, come affermato dalla Cassazione nella recente sentenza n. 12965 del 2016.

Dott. Gianfranco Senia
Commercialista in Vittoria (RG)
monitoraggibancari@gmail.com

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