Commento a Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, sentenza n. 5/1/16 del 14.01.2016

Per chiarezza di esposizione si precisa che il commento alla sentenza in esame non può che prendere le mosse da un più generale inquadramento della questione nella recente cornice giurisprudenziale.
Da un po’ di tempo a questa parte quello del contraddittorio preventivo all’emissione di un atto impositivo sembra rappresentare uno dei temi più presenti nelle aule di giustizia tributaria del nostro Paese.

Più in particolare, il dubbio che maggiormente affligge gli organi chiamati a giudicare su tale eccezione, è quello relativo all’estensione, o meno, della garanzia prevista dall’art. 12, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente, a quelle verifiche fiscali che non si estrinsecano in un accesso presso i locali del contribuente, ma che, al contrario, vengono condotte direttamente negli uffici dell’amministrazione finanziaria.
Parliamo di tutte quelle verifiche che l’ufficio effettua sulla base di notizie fornite da altre pubbliche amministrazioni piuttosto che da terzi come banche, istituti di credito, o, addirittura, dallo stesso contribuente mediante la compilazione di questionari e via discorrendo.

Ricordiamo ai lettori che la disposizione prima citata, rubricata “Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”, impone ai verificatori tributari di garantire al soggetto, nei cui confronti è in atto una verifica fiscale, determinati diritti, quali appunto:
- L’obbligo di formazione di un verbale di chiusura delle operazioni, con contestuale rilascio di copia del medesimo al contribuente;
- La facoltà del contribuente di comunicare osservazioni e richieste;
- Il dovere, posto in capo all’Ufficio procedente, di valutare, entro il termine di sessanta giorni dal rilascio di copia del verbale, le osservazioni e le richieste presentate dal contribuente;
- Il divieto di emanare l’eventuale avviso di accertamento prima della scadenza del termine di cui al punto precedente, salvo casi di particolare e motivata urgenza.

Ciò chiarito, il principale problema dal quale scaturiscono non poche controversie tributarie è rappresentato dal fatto che, a parere dell’amministrazione finanziaria le suddette garanzie non si applicherebbero a tutte le tipologie di verifiche, bensì unicamente a quelle che richiedono un accesso presso i locali del contribuente accertato.

Basterebbe tanto a far emergere l’evidente ed inequivocabile disparità di trattamento cui una simile interpretazione dell’art. 12, comma 7, condurrebbe, dal momento che non vi è ragione alcuna in base alla quale possa ritenersi giustificata l’applicazione di alcune garanzie procedimentali soltanto a determinate tipologie di verifiche piuttosto che a tutte.

Purtroppo, però, nonostante tale discriminazione possa rivestire carattere di assoluta obiettività, nelle decisioni dei Giudici tributari, sia di merito che di legittimità, non è possibile registrare ancora un orientamento univoco e consolidato sulla vicenda, tanto che solo un anno fa (Ordinanza, 14 gennaio 2015, n. 527) la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha ritenuto necessario investire della questione le Sezioni Unite.

Com’è noto a tutti, la decisione di queste ultime è arrivata il 9 dicembre scorso, con la sentenza n. 24823/2015, la quale ha tentato di risolvere, o meglio, di affrontare il problema partendo da una pregiudiziale distinzione fra tributi armonizzati e tributi non armonizzati.

Dopo aver constatato l’assenza nel diritto nazionale, a differenza di quanto previsto dal diritto dell’Unione europea, di un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto, il massimo consesso ha delibato il seguente principio di diritto:
“Ne consegue che, in tema di tributi non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”.

In sintesi, per i Giudici delle Sezioni Unite, l’obbligo generalizzato del contraddittorio endoprocedimentale parrebbe esistere solo ed esclusivamente in relazione a quegli atti di accertamento che hanno per oggetto tributi armonizzati, quale ad es. l’Iva.

Ma c’è dell’altro.
Persino in simili fattispecie, a parere della Corte, l’omessa attivazione del contraddittorio comporterebbe la nullità dell’atto solo nell’ipotesi in cui il contribuente riuscisse a dimostrare in giudizio (ciò significa che il giudice chiamato a decidere sulla questione principale dovrebbe aprire un giudizio incidentale per accertare ciò) che le ragioni che avrebbe potuto far valere in contraddittorio sarebbero state “fondate” e non puramente pretestuose.
Insomma, oltre al danno anche la beffa.

Fortuna, però, che le prime sentenze di merito successive alla decisione appena enunciata si sono schierate in senso diametralmente opposto, continuando a riconoscere, in maniera sempre più marcata, l’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, anche, o forse soprattutto, nel caso delle c.d. “verifiche a tavolino”.

L’ultima, per ordine di tempo, è stata la sentenza n. 5/1/2016, emanata dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia.
La pronuncia in questione trae origine dal ricorso di una società avverso un avviso di accertamento che rettificava il reddito d’impresa dichiarato; tale avviso faceva seguito ad un invito mediante il quale l’agenzia delle entrate intimava alla società contribuente di presentare la documentazione contabile ed extracontabile relativa al periodo d’imposta 2009.
Tale documentazione veniva prontamente consegnata dalla parte presso gli uffici dell’amministrazione finanziaria, con un incontro del tutto formale limitatosi al deposito, appunto, dei documenti al funzionario.

Nel ricorso introduttivo, la società eccepiva in via preliminare la nullità dell’atto, sostenendo che l'avviso di accertamento impugnato dovesse ritenersi nullo, invalido ed illegittimo, in quanto, a seguito del controllo eseguito direttamente negli uffici dell'Agenzia, non era stato attivato il contraddittorio preventivo, idoneo a consentire al contribuente la tutela dei propri diritti di difesa.
Lamentava, inoltre, la società, la circostanza per cui la procedura di verifica si fosse conclusa con l'immediata emissione dell'avviso di accertamento, prima dei sessanta giorni di cui alla normativa dello Statuto del contribuente, ed, oltretutto, senza la convocazione del soggetto destinatario della verifica.

La Commissione adita, dopo aver effettuato un breve excursus sul quadro giurisprudenziale esistente in materia, ha dichiarato la nullità dell’atto, sulla base di tre motivi:
• In primo luogo, ha riconosciuto il fatto che la rettifica riguardasse, fra gli altri, anche il tributo Iva, pertanto, in ossequio alla pronuncia delle Sezioni Unite prima citata, non potesse che rilevarsi l’obbligatorietà del contraddittorio preventivo a pena di nullità.
• In un secondo momento, ha statuito il carattere essenziale rivestito dal p.v. di chiusura ai fini della legittimità del conseguente atto di accertamento, sottolineando come il dato possa assumere ancor più rilievo nel caso degli accertamenti a tavolino.
• Infine, il collegio si è soffermato sull’eccezione relativa alla mancanza del contraddittorio.

In relazione a quest’ultima doglianza, i Giudici emiliani manifestano dapprima un forte senso di disapprovazione verso la sentenza delle Sezioni Unite, definendola addirittura come “..una decisione che riporta l'orologio all'indietro di almeno trent'anni, a prima della legge sul procedimento amministrativo, dello statuto dei diritti del contribuente, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e di numerose pronunce della Corte di Giustizia sul diritto al contraddittorio."

Ma di enorme ed indiscusso rilievo appare senza dubbio il principio fissato poche righe dopo, dove viene sottolineato come proprio nel caso delle indagini a tavolino sussista, a maggior ragione, l’esigenza del confronto preventivo, dal momento che il contribuente potrebbe trovarsi a ricevere un accertamento esecutivo per tutta risposta di una produzione documentale – magari effettuata da terzi – o della risposta di un questionario, senza aver potuto mai interloquire con l’ufficio finanziario e prospettare le proprie ragioni nei confronti dell’ipotesi accusatoria, che sarà conosciuta per la prima volta solo a seguito di un atto già esecutivo, suscettibile di cristallizzarsi se non impugnato entro uno stretto termine di decadenza.

Con riferimento, invece, alla distinzione operata dalle Sezioni Unite fra tributi armonizzati e non, la Commissione di Reggio Emilia conclude in maniera encomiabile, affermando che “è obbligatorio il contraddittorio preventivo anche per i tributi non armonizzati. La violazione del diritto del contribuente al contraddittorio preventivo, ossia antecedente all'emanazione dell'atto di accertamento, determina l'illegittimità dell'atto e, di conseguenza, il suo annullamento. Il riconoscimento di tale diritto si estende anche ai tributi per i quali la disciplina specifica non stabilisce un previo contraddittorio, in quanto è espressione di un principio di natura generale, ricavabile sia dalla Costituzione (art. 97) che dagli articoli 41, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, i quali garantiscono il diritto di ogni individuo a essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale lesivo. L'inviolabilità di tale diritto, come recentemente riconosciuto dalla Corte di Giustizia e dalla Corte di Cassazione (sentenza 5 dicembre 2014, n. 25759) anche per i tributi non armonizzati dalla normativa europea (quali dazi doganali e Iva) apre la strada al riconoscimento dell'illegittimità degli avvisi di rettifica (per esempio in materia di imposte di registro, ipotecarie e catastali) per i quali non vi sia stata la preventiva comunicazione, al contribuente, dell'avvio di un procedimento di accertamento fiscale, anche a tavolino.”

La sentenza in commento, a parere di chi scrive, suscita notevole interesse per due ordini di ragioni:
1) Innanzitutto, perché pone in evidenza un aspetto molto particolare tralasciato (forse volutamente) dai Giudici delle Sezioni Unite, ovvero la sorte che dovrebbe subire un avviso di accertamento, emesso in assenza di contraddittorio, che riguardi, contemporaneamente, la rettifica sia dell’Iva, come tributo armonizzato, sia, ad esempio, dell’Irpef, come tributo non armonizzato.
Viene davvero difficile ricostruire l’intento del massimo consesso, ma, altrettanto, pensare ad un’eventuale nullità dell’atto per metà.
2) In secondo luogo, perché incurante del precetto espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sottolinea l’importanza ancora maggiore che assume il confronto preventivo con il contribuente nelle ipotesi delle verifiche a tavolino, dove il contribuente, come egregiamente affermano i Giudici emiliani, si potrebbe trovare di fronte ad un accertamento senza aver avuto la benché minima possibilità di manifestare il proprio, legittimo, punto di vista.

Concludo ricordando che l’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente, al comma 1, afferma che “I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della COLLABORAZIONE e della buona fede.”.

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